Normalmente quando si parla dell’omelia, si fa molta attenzione alla sua lunghezza: troppo lunghe e noiose. Ecco la sentenza del tribunale popolare. Perciò la prima grande e preziosa indicazione per superare il disagio sarà: omelie più brevi, cortissime. C’è puro un supporto scientifico a quest’argomentazione: per la psicologia, oggi qualsiasi ascoltatore non riesce a stare attento più di sei minuti. Se aggiungiamo le difficoltà comunicative del predicatore (che spesso “legge” l’omelia, scritta da altri e perciò non la personalizza o non la prepara), allora il “dado è tratto”. Ho trovato divertente e significativo l’opera di Roberto Beretta, Da che pulpito…Come difendersi dalle prediche. Vi si trovano cose vere, benché imbarazzanti e dure da digerire.
Trovo qui, ad esempio, quanto disse don Alessandro Pronzato (più di centro libri con commenti originali ai Vangeli della Domenica) sulla predica-ghiacciolo: “Sull’ambone si manifesta come un uomo della parola surgelata. Non un guizzo di vita, un minimo di calore, di partecipazione, di coinvolgimento, di passione. Più che maneggiare il fuoco, lui sembra gettare brancate di cenere fredda, oppure scaraventare sulla testa degli ascoltatori secchiate di acqua gelida. Smitragliate di citazioni bibliche, incursioni insistite nei documenti del Concilio, puntualizzazioni dottrinali… Anche l’anima esposta a certe arie gelide, potrebbe buscarsi una polmonite paralizzante”.
E leggiamo cosa scrive Piero Gheddo: “La Chiesa dà spesso l’idea di predicare verità staccate dalla vita…le nostre prediche sono vecchie…la comunicazione moderna stimola vibrazioni, passa attraverso la commozione del cuore per giungere all’adesione dell’intelletto. Noi diamo più attenzione al fatto intellettuale che a quello esistenziale. Il punto di partenza dev’essere l’uomo, non la “dottrina”. L’annunzio consiste nel far incontrare l’uomo con Cristo in modo esistenziale”. L’esergo di questo libro riporta un Anonimo Italiano: “Il predicatore è spesso un uomo sordo che, con parole difficili, risponde a domande che nessuno gli fa”.
Insomma, l’omelia – termine con cui viene sostituita la più usurata e contestata “predica”-, non è cosa facile. Anche solo a definirla, ci si scontra con un muro di gomma. E’ più facile dire cosa non è: non è un’esegesi biblica, non è una catechesi, non è una comunicazione dottrinale, non è una riflessione teologica, ma nemmeno sociologica, non è un’arringa, non è un chiacchierare generico. E si potrebbe continuare. Tutto vero. L’omelia non è tutte quelle cose, ma le presuppone tutte.
Da qui nasce la vera difficoltà oggettiva, prescindendo dalla questione della preparazione del sacerdote o del diacono. La domanda è: esiste un’assemblea educata all’ascolto di un’omelia (breve o lunga che sia)? Pare che la maggior parte delle persone che frequentano la messa domenicale non ascoltino nemmeno la Parola di Dio che viene proclamata! Denutriti di conoscenze bibliche, dimentichi delle catechesi ricevute da piccoli, ignoranti della dottrina cattolica, incapaci (non per volontà, ma perché così è oggi) di prestare attenzione, dovremmo poi gustare la forza kerigmatica di una omelia di dieci minuti?
Dobbiamo riconoscerlo, le nostre comunità non sono più costituite come “comunità di ascolto”, perciò la nostra fede non cresce, perché non viene nutrita dalla predicazione e anche la partecipazione ai sacramenti (soprattutto alla celebrazione eucaristica domenicale) rischia terribilmente il magismo.
E allora? Si risolve forse il problema citando e cantillando le canzonette di Sanremo? Certo che no.
E’ però necessario e urgentissimo cercare nuove vie di comunicazione, abilitare nuovi registri comunicativi, capaci di parlare al cuore della gente, senza obliare l’uso dell’intelligenza e della ragione. Le persone non sono fatte a compartimenti stagni: si è intuito, immaginazione, volontà, intelligenza, cuore, ragione, corpo, emozioni e, soprattutto, si è tutto questo, dentro un dramma di vita, spesso toccato esageratamente dalla sofferenza, dalla malattia, dalle divisioni e dalle gelosie, dai conflitti e opposizioni, ma anche da sempre nuove proiezioni verso un futuro più felice, da speranze inedite, dalla gioia delle soluzioni di problemi. C’è cioè una “carne” della vita degli esseri umani che deve essere toccata per poter essere guarita e salvata dall’incontro con Cristo. In questa direzione, resta la domanda, come la svecchi la predica? +don Tonino, vescovo