Perché sia sempre festa del lavoro
La Festa del lavoro, che fra qualche giorno celebreremo, non trae origine da un evento gioioso, tutt’altro. Il “primo maggio” – così venne definita nel 1889 la festa del lavoro o dei lavoratori – trae origine dal sacrificio di 11 persone morte a Chicago nel maggio del 1886 durante uno sciopero per ridurre la giornata lavorativa a 8 ore. All’epoca i lavoratori erano, pressoché, privi di diritti: lavoravano in condizioni disumane, anche 16 ore al giorno e spesso – come accade oggi – morivano sul luogo di lavoro. Da allora l’evento viene ricordato ogni anno oltre che civilmente, anche liturgicamente. A partire dal primo maggio del 1955, infatti, la Chiesa ha istituito la festa di “San Giuseppe artigiano” per sottolineare il valore umano del lavoro e benedire l’azione delle classi lavoratrici, volta ad ottenere maggiore giustizia e dignità dei lavoratori. Nonostante le lotte, le vite sacrificate, i proclami, le innegabili conquiste fatte e le tante leggi, nel tempo, emanate, siamo lontani dal potere definire “ideale” la situazione attuale del lavoro. Come si può fare festa quando, ancora oggi, perdono la vita, sul posto di lavoro, mille lavoratori l’anno – mediamente tre al giorno – lasciando nel dramma tante famiglie? E ancora, che festa possono celebrare i senza lavoro e i tanti lavoratori -183.000 secondo le stime sindacali – che da anni vivono con angoscia la definizione delle crisi aziendali (ex ILVA e Stellantis, solo per citare i casi più noti)? Per non dire dei lavoratori in nero e privi di tutele e quelli sottopagati – salari bassi e poche ore lavorate – che non consentono ai lavoratori e alle loro famiglie “un’esistenza libera e dignitosa” (art. 36 Costituzione). Nel messaggio per la Festa dei lavoratori di questo 2024, sul tema “Il lavoro per la partecipazione e la democrazia” – i Vescovi italiani chiedono espressamente ai responsabili delle Istituzioni di “assicurare condizioni di lavoro dignitoso per tutti, affinché sia riconosciuta la dignità di ogni persona, si permetta alle famiglie di formarsi e di vivere serenamente”. Una richiesta resasi ancora più pressante per le mutate condizioni del lavoro. L’epoca della globalizzazione, che ha investito anche l’occupazione, ha introdotto grandi elementi di fragilità con conseguente riduzione della sicurezza sociale e perdita della stabilità del posto di lavoro.
Viviamo in una società caratterizzata da una pluralità di attività che ha prodotto cambiamenti epocali anche nell’organizzazione del lavoro: più selettivo, più creativo, più specializzato. Condizioni tali da richiedere una maggiore formazione, anche e soprattutto a garanzia della sicurezza. Una volta c’era il lavoro, lo stesso lavoro, svolto nella stessa ditta, che ti accompagnava fino alla pensione, la quale, pur non essendo favolosa, permetteva di vivere senza troppe preoccupazioni. Oggi, anche il futuro delle pensioni, almeno per quanto riguarda le giovani generazioni, è messo in dubbio. Per non dire degli ulteriori stravolgimenti che potrebbero verificarsi con l’introduzione, anche nel campo del lavoro, dell’Intelligenza artificiale: da qui a dieci anni le macchine potrebbero svolgere il lavoro di 3,8 milioni di persone solo in Italia. Cosa fare, allora, in una situazione in continua evoluzione per assicurare dignità al lavoro con “un giusto salario e un adeguato sistema previdenziale, che sono i concreti segnali di giustizia di tutto il sistema socioeconomico” (Laborem exercens,19)? Senza nulla togliere ai progressi della scienza, alla imprescindibile produzione normativa e alla necessaria attività di monitoraggio circa l’applicazione e il rispetto delle leggi, è essenziale farsi guidare, nelle varie azioni, dai principi dettati dalla nostra Costituzione che dedica proprio al lavoro una delle sue parti centrali. La Repubblica “riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto” (art.4); “tutela il lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni. Cura la formazione e l’elevazione professionale dei lavoratori” (art.35); “Ogni cittadino inabile al lavoro e sprovvisto dei mezzi necessari per vivere ha diritto al mantenimento e all’assistenza sociale.” (art.38). Le condizioni del lavoro cambiano, i principi restano.
di Pino Malandrino