Una Chiesa in attesa
Ancora qualche settimana e il popolo di Dio che vive, opera e spera in questo estremo lembo d’Italia potrà abbracciare il suo nuovo Pastore e rivolgere al Vescovo Antonio il saluto grato per il servizio pastorale reso alla nostra Chiesa. Da quel 22 dicembre dello scorso anno, quando nella Basilica Cattedrale risuonò per la prima volta il suo nome, cresce, di giorno in giorno, il desiderio della comunità di vedere, conoscere e abbracciare il Vescovo Salvatore che Papa Francesco ha scelto per condurre la nostra Chiesa lungo le strade che portano a Gesù. Il tempo trascorso dall’elezione di Mons. Salvatore Rumeo, benché lungo, si è rivelato necessario e proficuo per consentire al Vescovo eletto di avere i contatti preliminari con le varie componenti della Chiesa netina, ma anche per dare ai fedeli e a tutti gli uomini e alle donne di ogni condizione sociale, culturale e confessionale, che vivono in questo territorio, i primi elementi di conoscenza del nuovo Pastore. I messaggi, le lettere indirizzate alla comunità diocesana, nonché le tante interviste rilasciate, hanno dato contezza dello spessore umano, culturale e pastorale del Vescovo Salvatore che, in nome di Cristo governerà, dal prossimo 18 marzo, la Chiesa diocesana e la rappresenterà, essendone “il principio visibile e il fondamento dell’unità”. La nomina di un nuovo Vescovo non è un accadimento esclusivo, riservato, cioè, alla sola comunità ecclesiale, ma un evento che acquista, anche, rilevanza esterna. L’incontro con le autorità civili e il saluto alla Città, previsto nel momento dell’ingresso in Diocesi, oltre a costituire un gesto di cortesia nei confronti degli amministratori, acquista il significato dell’abbraccio del Pastore con tutto il popolo. “Le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo” (Gaudium et spes). Così che il saluto alle autorità assume anche il significato di un incoraggiamento per gli amministratori stessi a guardare sempre ai bisogni dei cittadini e alle tante povertà presenti sul territorio. Ma è all’interno della Celebrazione, ricca di segni, per l’ordinazione episcopale e l’inizio del ministero pastorale del Vescovo Salvatore, che si concretizzerà il legame definitivo fra il Pastore e la sua Chiesa. Sono segni, conosciuti come “insegne episcopali”, che ci dicono chi è il Vescovo e cosa è chiamato a fare nei confronti del popolo di Dio che gli è stato affidato. “La Croce pettorale”, il cui significato, secondo Papa Ratzinger, non è «né di ornamento, né di gioiello, ma di simbolo prezioso della fede e segno visibile e materiale del legame con Cristo». Il Vescovo, infatti, come successore degli apostoli, è chiamato a condividere la croce del Signore e a proclamare la fede, che affonda le sue radici nell’evento pasquale. “L’anello”, “segno della fedeltà e dell’unione sponsale con la Chiesa, sua sposa», come recita il Cerimoniale. Se portare l’anello significa, da un lato, la scelta di obbedienza e di servizio alla Chiesa da parte del Vescovo, dall’altro, a motivo del ministero ricevuto, è segno del potere che egli esercita sui fedeli a lui affidati, dei quali si deve prendere cura e che deve guidare e condurre alla salvezza. La “Mitria” o “fascia per la testa”, con due punte (cuspidi) rappresentanti l’Antico e il Nuovo Testamento, dei quali il Vescovo è sommo annunciatore, custode e interprete per il popolo di Dio a lui affidato. Il “Pastorale”, o bastone, infine, con cui il Pastore guida e difende il suo gregge. E che ci impegna, come comunità, ad essere, appunto, quel gregge docile, chiamato a garantire sincera obbedienza al Vescovo, un’obbedienza fondata sull’amore che, attraverso di lui, ha come termine ultimo lo stesso Cristo Signore.
di Pino Malandrino