La Quaresima in Massime

Tempo di conversione per la perfezione cristiana che è bellezza di umanità

di + Antonio Staglianò, vescovo

Le “Massime di perfezione cristiana” di Antonio Rosmini sono ancora attuali e vanno riscoperte, in particolare in questo tempo di Quaresima, per aiutare il cuore a camminare verso la perfezione che impariamo da Gesù.  Queste Massime sono come un Manifesto della santità possibile a tutti: mentre invita alla perfezione della carità, chiarisce che la chiamata è per tutti. 

Scrive il Rosmini: «Tutti i Cristiani, cioè i discepoli di Gesù Cristo, in qualunque stato e condizione si trovino, sono chiamati alla perfezione; conciossiaché tutti sono chiamati al Vangelo, che è la legge di perfezione; e a tutti egualmente fu detto dal divino Maestro: «Siate perfetti, siccome il Padre vostro celeste è perfetto (Mt 5, 48)». Certo, il Fondatore dell’Istituto della Carità risente del suo tempo nel pensare che la radicalità della povertà, castità e obbedienza siano dei religiosi e, per gli altri, restino dei “consigli”.  È, questa, d’altronde una dottrina ben fondata e tutt’ora vigente nella Chiesa cattolica, anche dopo il Concilio Vaticano II, se non erro. Prevale però la chiamata di tutti alla perfezione e la motivazione diventa evangelica: la sorgente e la meta restano la vita in Dio che, ancora una volta per tutti, diventa la necessaria misura di pienezza senza la quale la nostra vita perde forza.  

Rosmini lo dice già in premessa: la perfezione è possibile, è proponibile (con l’implicito anzitutto di una possibilità, e forse anche di una necessità, nella formazione dei giovani e comunque dei cristiani, perché siano cristiani “pensanti”, pensando “in grande” anche la propria vita); la pienezza della vita, però, si impara dal “Maestro”, dalla bella umanità di Gesù, mettendosi in vero contatto con lui con attenzione, con un ascolto che sa di fiducia, con propositi custoditi da quella gratitudine e lode che permettono di far fiorire tutto da una comprensione attenta di ciò che si legge e nel «meditarlo e assaporarlo con gusto interiore». E questo è bellissimo, perché dice il cristianesimo come vita traboccante per essere immedesimati nella stessa esperienza vita di Gesù, nei suoi sentimenti, emozioni, volontà, pensieri, speranze e sofferenze. 

E come non sentire i grandi richiami di San Giovanni Paolo II nella Novo millennio adveniente et ineunte, sulla necessità che il cristiano “programmi la santità”. Allo stesso modo, Papa Francesco in Gaudete et Exultate pretende di essere molto concreto nell’indicare vie ordinarie, passi quotidiani da fare, per diventare santi.

Si è cristiani perché si segue Gesù e non tanto perché si praticano dei riti della religione. 

Vale per tutti, soprattutto per noi cattolici che, rischiando l’ormai famoso cattolicesimo convenzionale, pensiamo di poter vivere la fede cristiana senza testimonianza nell’amore e nella carità. Separare il culto domenicale dell’eucarestia dal gesto dell’opera di misericordia corporale e spirituale è come un “togliere la vita di Gesù al nostro cristianesimo”, sostituendola con il formalismo religioso. 

Nessuno dica che non bisogna allora pregare o andare a messa o organizzare le feste religiose: queste cose vanno fatte, ma restano “strumento” per qualcosa d’altro, per un fine preciso, cioè abitare il mondo da cristiani, con i sentimenti di Cristo e tutto operare come se fosse Cristo stesso a farlo. Qui la bellezza di un cristianesimo come “stile di vita”, perché diventi attrattivo, affascinando tutti, in particolare i giovani.

La Quaresima è tempo di empatia, di immedesimazione, anzitutto “in” Cristo per poter poi vederlo e accoglierlo nei tanti fratelli che sono, oggi e qui, il suo sacramentum, i poveri, gli emarginati, gli scartati, i sofferenti, i nuovi crocifissi del tempo globalizzato, cioè i migranti che muoiono nel mare Mediterraneo o che vengono “respinti” e riportati nei nuovi lager dell’altra sponda.

Certo, la perfezione è parola aliena dal nostro tempo, ma non dovrebbe esserlo dal nostro cuore. Si può oggi parlare ancora di “perfezione”? Sul versante culturale e morale il limite, che dice “imperfezione”, viene visto come possibilità di cercare ancora, di accettarsi e migliorarsi contro ogni perfezionismo (dobbiamo sempre stare attenti agli –ismi!) rigido, presuntuoso, giudicante: «L’imperfezione ha da sempre consentito continue mutazioni di quel meraviglioso e quanto mai imperfetto meccanismo che è il cervello dell’uomo. Ritengo che l’imperfezione sia più consona alla natura umana che non la perfezione» (Rita Levi Montalcini). Anche Rosmini ha dedicato pagine elevatissime a criticare e combattere il “perfettismo”. Stiamo parlando degli –ismi, delle degenerazioni.

Ogni degenerazione diventa un invito a capire le vere misure delle cose, ritrovare il loro essere vero e profondo. Perché, se interroghiamo il nostro cuore avvertiamo anche l’anelito alla pienezza e la perfezione prende il volto della meta agognata e del destino svelato. l limite e le ferite infatti, è vero, ci rendono umili, aperti, viandanti in cerca di verità e compagni di viaggio più affabili rispetto a tanti arroganti e deliranti giudici del mondo e della coscienza altrui. Tuttavia, il limite – l’essere come limite, e quindi la nostra finitezza, dirà Rosmini nella sua maturazione filosofica – è apertura alla pienezza che ci è data come ideale che si attua e rende piena, sana, integra, bella la vita. La vera perfezione – ecco l’attualità delle “Massime di perfezione” – di Rosmini riguarda allora il cuore, è la pienezza dell’amore che riceviamo e a cui corrispondiamo. Amore completo, perché amore concreto e integro: «piena esecuzione de’ due precetti della carità di Dio e del prossimo», che ci «porta totalmente in Dio, per quanto possibile in questo mondo». 

Non uno sforzo impossibile ed eroico, tanto meno un atteggiamento moralistico e giudicante, ma la scoperta che il nostro limite ci apre a un movimento di abbandono di tutto noi stessi, per quello che siamo e «per quanto è possibile», a Colui che ci accoglie con amore senza limite. Possibilità e pienezza, ma anche gioia e beatitudine, allora, diventa la perfezione dell’amore, ben diversa dal perfezionismo. Con tutti i nostri affetti, con tutte le nostre opere: senza classificazioni o valutazione, ma con integrità e armonia da ritrovare sempre. È la bellezza della vita traboccante del Vangelo, l’umanità bella e buona di Gesù.

Coraggio, da Internet possiamo tutti scaricare Le Massime di perfezione cristiana del beato Rosmini e, gustarle con il cuore, non senza faticare un poco con l’intelletto. Sarà anche questo, a livello spirituale, un gesto di pop-Theology? Direi proprio di sì, a considerare quello che il Manifesto della pop-Theology sottolinea al punto 9: «Pop-Theology è cura della “bellezza difficile” del Vangelo, oltre e contro le tante forme di estetizzazione del vissuto cristiano che anestetizzano il corpo ecclesiale, spegnendone la vitalità e l’ardore missionario».

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