Pozzallo. Intervista al dott. Morello, medico delegato di porto, impegnato nei soccorsi ai migranti sulle nostre coste

“Sono esperienze che ti segnano e ti fanno vivere la vita in modo completamente diverso”

Nei giorni delle festività natalizie è approdata nel porto di Pozzallo la nave Alan Kurdi con 32 migranti a bordo soccorsi nel Mediterraneo la notte di Natale. La decisione di assegnare Pozzallo come porto sicuro è stata assunta dal Viminale tenendo conto della presenza a bordo di persone in condizioni di vulnerabilità. Dei 32 migranti soccorsi dieci sono minori, alcuni in tenera età, e cinque sono donne, di cui una incinta, tutti di nazionalità libica. Come in tanti altri sbarchi, anche in questa circostanza è stato presente il Dott. Vincenzo Morello, che dal 1999 si occupa di soccorrere uomini, donne e bambini che approdano sulle nostre coste. La nostra Redazione lo ha contattato e volentieri ci ha rilasciato un’intervista che è la sua testimonianza diretta, “sul campo”, in qualità di medico delegato di porto. La sua esperienza ci ricorda come sia necessario non smarrire l’umanità che ci è richiesta – non solo in quanto cristiani, ma in quanto uomini – di fronte a un problema così attuale e drammatico

Dott. Morello, nei giorni di Natale, abbiamo assistito allo sbarco della nave “Alan Kurdi” al porto di Pozzallo, con 32 migranti a bordo soccorsi nel Mediterraneo. Potremmo riconoscere in questo sbarco un “presepe” dei nostri giorni o una bella “favola natalizia” dove trionfano i buoni sentimenti… tuttavia rimane la dura verità di uomini e donne e bambini coinvolti nel dramma dell’immigrazione…

Sì, Lo sbarco è avvenuto il 29 dicembre, nel periodo natalizio, ma non è la prima volta che gli sbarchi avvengono in un periodo segnato anche dalle nostre feste religiose. Ricordo una ragazza presa a 27 miglia dalla costa, nella notte di Pasqua. In quello di Natale c’erano tanti bambini e famiglie ed è stato uno sbarco anomalo: erano tutti libici che fuggivano dalla guerra. Quindi basta pensare a cosa spinge in questo periodo freddo, invernale, queste famiglie ad attraversare il mare e mettere a repentaglio la propria vita e quella dei loro bambini per poter attraversare il Canale di Sicilia. 

Io svolgo questo lavoro dal 1999, quando sono sbarcati a Pozzallo i primi cinesi, allora fui chiamato dalla Capitaneria di porto, perché nessun collega era disponibile al momento per fare il verbale di morte di questi cinesi che erano su un barchino alla deriva. Da allora in poi mi chiamavano quando c’era bisogno, fin quando un comandante di motovedetta non mi ha voluto più fare salire a bordo, perché non poteva garantire la mia sicurezza. Informato il Ministero della Salute, fu fatto un bando e così diventai medico delegato di Porto. Da allora sono sbarcate oltre 150mila persone, oltre 400 morti, e diciamo che ci siamo fatti una certa esperienza, per cui debbo dire grazie alla Provvidenza e alla mia famiglia. Perché la mia famiglia l’ha accettato. Inoltre non c’era l’organizzazione che c’è oggi. Noi a Pozzallo siamo stati gli unici a fornire assistenza non aspettandoli al porto. Io andavo sui barconi, ho fatto Mare Nostrum, ho fatto Triton, sono stato sui barchini, sulle navi madri, sono andato in elicottero a prelevare gente sulle navi, sono stato sulle motovedette, ho fatto i respingimenti… Lì ho iniziato a scoprire la grande bontà che esiste nel cuore delle persone. Abbiamo appurato anche che molti dei barconi respinti ritornano. Ho seguito tutta la modalità degli sbarchi in 20 anni e diciamo che abbiamo formato una bella équipe a Pozzallo con i ragazzi della Capitaneria, i Comandi, l’ufficio immigrazione della Questura, i colleghi dell’ASP, viviamo in simbiosi, abbiamo fatto un gruppo di amici. Una volta a Ragusa è arrivata un’imbarcazione di 14 metri con più di mille persone a bordo. Lì nasce il Protocollo Ragusa con il quale come controlli sanitari siamo all’avanguardia con il centro di prima accoglienza. È stata un’esperienza bella, pesante, al centro di Pozzallo (stracolmo) si è aggiunto anche quello di Ragusa. 

Com’è l’approccio a bordo con queste persone? Cosa prova un medico davanti a queste emergenze? Che peso hanno professionalità e umanità?

Certamente devi essere professionale. In pochi secondi bisogna capire e inquadrare la situazione altrimenti soccombi. Anche perché gli sbarchi avvengono di notte. Ma devi essere anche umano. Grazie a mio padre che mi ha insegnato questi valori e a un mio professore che diceva: quando ti portano un paziente per 5 secondi devi metterti al suo posto e pensare come vorresti essere trattato. Tratta gli altri come vuoi essere trattato.

È la regola d’oro del vangelo…

Certo… ma è anche una regola di vita, è umana. E lì devi capire, a mani nude, quali sono le fragilità immediate, le urgenze immediate. Pensa in un peschereccio di 500 persone mi è capitato di andare a prendere 2 persone, ma l’emergenza era per 8. Ho dovuto combattere per portarli a terra, mi dicevano che mi coinvolgevo troppo. Poi nella notte due di questi sono morti e mi hanno chiesto scusa… E poi la gioia immensa dei bambini che sono anime pure. Quando vedi bambini che giocano, capisci che hanno bisogno di giocare, quando gli porgi il pane e ti guardano perché non sanno cos’è allora tu ne prendi un pezzetto e lo mangi, anche il mangiare con loro e condividere lo spazio in plancia, stare con loro con il massimo rispetto per le donne. Loro hanno un modus vivendi che bisogna comprendere e rispettare. Io ho sempre una bandana che mi contraddistingue, mi chiamano “papà Africa”. Purtroppo abbiamo raccolto anche tanti bambini morti in mare. Potrei raccontare tanti episodi che mi hanno segnato. I bambini   crescono molto prima. Una volta una nave di una organizzazione umanitaria (con cui io ho un rapporto di amore-odio ma comunque di massima collaborazione professionale, quello che ci interessa è salvare vite umane) arrivò in porto con dei cadaveri. Mi si avvicina una bambina (di circa 9 anni) e mi chiede: “Tu boss? Tu papà? La mia mamma dov’è?”. Io rispondo: “Perché, tu cosa devi fare?”. E lei: “Lo devo spiegare a mio fratello”. La mamma era morta, avevano recuperato il cadavere che galleggiava con i due figli, di 9 e 6 anni, sulla pancia, praticamente li aveva tenuti a galla. Mi è venuto in mente di dire, come facciamo qui da noi per spiegare ai bambini la morte di un genitore: “La tua mamma è diventata una stella”. Lei mi ha chiesto di vedere la mamma. Gliel’ho fatta vedere. Alla fine sono diventato il padre. Lei mi ha dato una felpa, si fidava solo di me. abbiamo visto che nella felpa c’erano dei numeri di telefono. La Polizia è riuscita a rintracciare il padre che non li aveva abbandonati, ma si trovava ad Ascoli Piceno. Lo hanno portato qui per i funerali e per prendere i bambini. Per ordine del Tribunale dei Minori non ho potuto partecipare al funerale e questo mi ha rattristato molto. Un’altra volta mi è capitato di soccorrere un ragazzo, poeta eritreo (abbiamo trovato tante poesie), me lo sono caricato in spalla per non aspettare la barella e guadagnare qualche minuto, alto più di un metro e ottanta, pesava 35 kg. Gli ho chiesto: “Come ti sei ridotto così?” e lui mi ha spiegato quello che succede in Libia, le condizioni disumane della Libia, dove si mangia una volta a settimana, dove le donne vengono violentate, dove vengono incarcerati, arrestati, picchiati… dove tutto viene fatto perché tutto gli è concesso. È morto all’ospedale di Modica. Prima di morire mi ha ringraziato, mi ha chiamato “papà”. È seppellito a Modica al campo comune. Sono cose che ti porti appresso, che ti fanno vivere la vita in modo completamente diverso.

Certo linguaggio politico porta avanti la convinzione che stiamo subendo un’invasione. È veramente così? Lei cosa ne pensa?

Assolutamente no. Consideriamo che i nostri genitori, i nostri nonni, andavano in America in cerca di fortuna. Loro vengono in Europa perché il mondo si sposta per fame, si sposta per bisogno. Io mi chiedo: potremmo evitare l’invasione? Lo sostengo dal 2000, bisogna fare i corridoi umanitari! Ma bisogna fare in modo che l’occidente non freni. Se noi continuiamo a depauperare, a togliere le loro risorse… una volta uno di loro aveva 5000 dollari e gli ho chiesto dove li aveva presi. Mi ha detto che glieli avevano dati i cinesi. Ho pensato che mi stesse dicendo una bugia, ma parlando con un amico esperto mi ha detto che lì esiste un metallo usato per fare i microchip, loro pagano il capo villaggio per portarsi via tutto il villaggio. Si stanno prendendo la terra, li mandano via, con la promessa di farli lavorare dopo che avranno studiato fuori, in Europa. Perché l’occidente non si cura di questo? Al di là dei disequilibri politici, tribali, che ci sono in questi territori, loro hanno le risorse per vivere bene, non hanno bisogno dei nostri investimenti. Noi dovremmo solo non rubare quello che loro hanno dalla natura!

Nel corso degli anni abbiamo seguito l’evoluzione di questo fenomeno. Quando non si partiva dalla Libia non è che non ci fossero i morti! In una riunione ministeriale nel 2004 io ho usato una frase di cui mi rammarico, ma non mi pento: “Io sono un misero medico che viene dal paese dove il pesce sa di carne”. Dopo il 2015 abbiamo parlato delle morti nel Mediterraneo ma nessuno cerca – ne ha parlato un giornalista di Repubblica – il barcone che al largo di Portopalo ha 290 migranti in fondo al mare, dagli inizi degli anni 2000. Hanno recuperato quelli di Pantelleria. Giusto. Giustissimo. Però tutte le persone che giornalmente non si trovano… una volta ho dovuto sedare una madre disperata perché il corpo del figlio non era stato recuperato dai soccorritori che avevano dovuto sospendere le ricerche per via del peggioramento delle condizioni meteo. Purtroppo lì devi decidere, non si può mettere a rischio la vita dei soccorritori. Bisogna decidere in fretta. Ma io posso affermare che Pozzallo è il primo porto in Italia dove si sa cosa fare, dove mettersi, quando farlo, e soprattutto come farlo e farlo bene. In questi anni abbiamo migliorato i protocolli dei soccorsi. All’inizio tutto era lasciato ai volontari, c’era un po’ di disorganizzazione, poi abbiamo creato il Triage in panchina e questo snellisce i soccorsi anche con il trasporto nei vari ospedali; abbiamo ideato i braccialetti di riconoscimento, per evitare che le famiglie venissero divise. Una volta ci è capitato un ragazzo cieco di 14 anni. Erano stati soccorsi al largo, per cui la madre era stata portata ad Augusta, il padre a Trapani. Abbiamo fatto di tutto per farli ricongiungere, grazie anche a due volanti della Polizia che hanno portato i genitori a Pozzallo. Con il braccialetto si registra la famiglia in modo da riconoscerne i componenti. E poi i controlli sono molto accurati per cui, grazie a Dio, finora ci è andata bene!

di Alessandro Paolino

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