Tutti i giovani, nessuno escluso, sono nel cuore di Dio… e tra le braccia di narciso

L’indicazione è chiara e non è una ricetta: i giovani potrebbero ritornare a Dio, a Gesù e alla Chiesa, se la Chiesa cambiasse “posizione” e “figura”, diventasse davvero “chiesa tra la gente”, “chiesa dei poveri per i poveri”, “compagna di strada” degli uomini e delle donne – bambini, ragazzi, giovani e adulti- nei loro drammi e sofferenze, nelle loro gioie e speranze. È un’opera di riforma autentica e non di “makiage”. Si tratta, allora, di cambiamento in tutte le forme pratiche con le quali, fino a oggi, la Chiesa ha provato a trasmettere la fede cristiana: l’annuncio del kerigma, la catechesi, le iniziative di carità, soprattutto la trasformazione degli stili di vita dei cattolici, perché siano più testimoniali, al di là di ogni scandalo che rende irriconoscibile il volto evangelico della Chiesa. In gioco c’è la qualità della fede dei cristiani, l’essenza di cristianesimo, che il cattolicesimo riesce a far apprezzare (o a far disprezzare) nelle odierne società.

In questa opera di conversione “dell’anima e del corpo”, il Documento finale del Sinodo dei vescovi sui giovani concentra la sua attenzione primaria, nel saper ascoltare giovani: “le fatiche e fragilità dei giovani ci aiutano a essere migliori, le loro domande ci sfidano, i loro dubbi ci interpellano sulla qualità della nostra fede. Anche le loro critiche ci sono necessarie, perché non di rado attraverso di esse ascoltiamo la voce del Signore che ci chiede conversione del cuore e rinnovamento delle strutture (n.116). 

Quali giovani vanno ascoltati? Tutti i giovani, specialmente quelli ormai “lontani” che non la pensano come i cattolici, perché condividono altre visioni del mondo e magari si dichiarano atei razionalisti “nemici dichiarati” della Chiesa o agnostici o estranei (benché non contrari) a orizzonti religiosi, o, infine, gente che professa altre fedi. 

Veramente tutti vanno incontrati e ascoltati, uscendo dalle proclamazioni verbali, dalle chiacchiere fumose che non si mettono mai in pratica: “tutti i giovani, nessuno escluso, sono nel cuore di Dio e quindi anche nel cuore della Chiesa. Riconosciamo però francamente che non sempre questa affermazione che risuona sulle nostre labbra trova reale espressione nella nostra azione pastorale” (n.117).

All’uopo, dovrebbe partire la mission, dentro la consapevolezza precisa che comporta: immettere nel cuore una nuova passione (pathos) per il vangelo, con quella sana inquietudine che non ci fa restare chiusi nei nostri ambienti e invece ci costringe ad “uscire dalle nostre presunte sicurezze”, così da osare con il vangelo – senza presunzione o proselitismo- “testimoniando l’amore del Signore e tendendo la mano a tutti i giovani del mondo” (n.117). 

Non sarà certo un gran bell’idillio. A nessuno sfugge che questa impresa ha il carattere di una quadratura del cerchio e la pesantezza dell’ottava fatica di Ercole. Perché? Per il fatto oggettivo che i giovani cui la Chiesa si deve (per missione specifica) rivolgere e da cui (per intelligenza umile) deve imparare sono (quasi-) tutti già nelle braccia di Narciso e versati al suo destino mortificante ogni bellezza giovanile.

Come crescono i cuccioli degli umani? Come diventano adulti? È vero che il nichilismo – quale negazione di tutti i valori- è tra i giovani di oggi il più inquietante fra tutti gli ospiti (secondo il filosofo U. Galimberti che riprende l’espressione da Nietzsche). Gruppi di ragazzi gettano pietre dai ponti delle autostrade, incuranti dei possibili incidenti e lo fanno senza una ragione precisa. Altri – volendo imitare qualche eroe della play station- si armano e sparano uccidendo nelle scuole loro coetanei. Nevrosi, follia, psicosi collettiva, stress, sono solo alcuni dei nomi che aiutano a interpretare la “crisi umana” della cultura occidentale. L’Occidente avrebbe dovuto essere redento dalla sua fede nel progresso, ed è, invece, stato gettato in un futuro cupo, pieno di brutalità e di violenza. Un vichingo avrebbe oggi capito che la cultura di questa società liquida è votata totalmente al “dio Oki”, il demone del male.

Una grande bonifica culturale è resa urgente dalla condizione umana odierna. Un intervento più deciso sul piano culturale sarebbe l’aspetto più grande, perché più impegnativo, dell’opera di evangelizzazione della Chiesa. Resta infatti l’interrogativo: se, di colpo, la Chiesa divenisse sul serio la Chiesa santa di Dio, realizzando le belle condizioni di apertura a tutti i giovani, di testimonianza di povertà e di vero amore (vivesse cioè effettivamente il cristianesimo), allora educherebbe i giovani sulle vie sante di Dio, secondo le leggi della sua ritrovata santità?

Non continuerebbero i giovani a vivere come vivono? I giovani di oggi– loro malgrado- sono già quasi tutti “tra le braccia di Narciso” che li coccola e li soddisfa, seducendoli con la sua apparente bellezza nello specchio delle possibilità del mondo della tecnica. Qui, dove il concetto di libertà è sostituito a quello di dominio di sé e degli altri e dell’ambiente.

Al n.50 del Documento del Sinodo sui giovani si afferma: “in tanti modi anche i giovani di oggi ci dicono: «Vogliamo vedere Gesù» (Gv 12,21), manifestando così quella sana inquietudine che caratterizza il cuore di ogni essere umano”. È vero? Si, non può che esserlo sul piano antropologico (e questo fa ben sperare), ma non lo è sul piano fattuale, socioculturale, dove invece si registrano totale indifferenza e disaffezione (spesso immotivata) dei giovani verso il cristianesimo (a parte gli scherzi illusionistici prodotti dalla religione postmoderna).

L’epoca delle passioni tristi (Miguel Benasayag e Gérard Schmit) focalizza l’allarmante segnale dell’aumento delle tante forme di disagio psichico che affliggono un numero sempre più crescente di giovani. Questo dovrebbe imporre a tutti – anche alla Chiesa- di interrogarsi sulle basi culturali su cui possa la nostra società per le quali i giovani si chiudono in loro stessi e non escono più di casa come gli Hikikomori. 

Il Sinodo chiede giustamente, per il futuro, una dedizione straordinaria all’educazione della coscienza. Potrà questo farsi senza una grande intrapresa culturale sulla coscienza stessa oscurata del tutto dall’orizzonte umano o ridotta a semplice opinione dell’io, manifestabile con un I like nell’alienazione dei social network dove i volti non compaiono più, ma solo le facce (facebook) e queste per giunta anche mascherate?

di don Tonino, vescovo

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