Attendi qualcuno? Senza attesa non c’è ascolto, senza ascolto non c’è Avvento di salvezza

di Mons. Antonio Staglianò

“No, non muovetevi/ c’è un’aria stranamente tesa/ c’è un gran bisogno di silenzio/ siamo come in attesa/ No, non parlatemi, bisognerebbe ritrovare/ le giuste solitudini/ stare in silenzio ad ascoltare”.

La canzone di Giorgio Gaber parla del bisogno dell’uomo di sempre. Cerchiamo, ci affanniamo continuamente, rincorrendo cose che ci lasciano con un bisogno profondo di significato che resta incolmato da qualsiasi bene che possiamo procurarci. L’uomo è consapevole di essere fatto per l’infinito: non per un bene ma per “il Bene”.

L’essere umano non è mai tranquillo ed è proprio questa irrequietudine a ricordargli che la sua natura è grande. La nostalgia, il senso di mancanza, l’inquietudine sono le spie che ci ricordano che dobbiamo vivere all’altezza della nostra natura. Tradire il desiderio d’infinito che è in noi, sarebbe chiuderci in una gabbia, indossare l’abito consunto dell’abitudine e della rassegnazione. Trovarsi, dunque, in una posizione di attesa – consapevole, densa di domanda e di silenzio – pone in una posizione di favore. Innanzitutto perché apre all’ascolto, alla scoperta dell’Altro nascosto tra le pieghe dell’esistenza. Abbiamo bisogno di ri-scoprire il silenzio per lasciar parlare la voce interiore, la voce del cuore.

Ecco cosa serve l’Avvento, tempo propizio per recuperare se stessi, per purificare il cuore, e giungere a Natale con occhi limpidi, così da guardare il bambinello e “vedere il Salvatore”: scende dalle stelle per dirci che anche noi – esseri umani – veniamo da là, dalle stelle, perché siamo “polvere di stelle”, esseri desideranti (de-sideris = dalle stelle).

È la stessa esperienza del “cuore inquieto” di sant’Agostino: “il nostro cuore non ha pace finché non riposa in te”. L’uomo è, nel profondo, un essere religioso, un “mendicante di Dio” (Benedetto XVI, udienza 7/11). Attesa e silenzio aprono alla speranza che la promessa costitutiva del nostro cuore trovi risposta. Facciamo nostra la vigilanza che il tempo di Avvento richiede prendendo sul serio l’attesa del nostro cuore. Vivendo “come se Dio ci fosse”.

Si, perché Dio c’è ed è Amore, solo Amore, sempre Amore.

E’ questa la buona notizia del Natale: Dio non è come te lo immagini tu, non ha la forma delle tue proiezioni, talvolta frustate della vita, non ha la maschera che gli uomini (credenti o non credenti) gli impongono ogni giorni per nascondere i propri malanni, le proprie voglie di vendetta contro i nemici.

All’inizio dell’Avvento non si può non pensare a Maria di Nazareth che dell’avvento benedetto di Gesù è “serva”, e perciò madre. Quando ero piccolo pensavo che l’Angelo avesse detto a Maria – “non temere, non aver paura-,  per rassicurarla, dopo averle fatto prendere uno spavento per l’improvvisa apparizione a casa sua. Sono venuto a sapere dai Dotti che, invece, “non temere” indica sempre che ci troviamo alla presenza di una particolare azione salvifica di Dio nella storia degli uomini. Personalmente ho sempre pensato che “non temere” fu una risposta di Dio a qualche paura che covava nel cuore la fanciulla. E mi sono sempre interrogato: di cosa aveva paura Maria? Grande paura, così grande d’aver “meritato” che Dio si decidesse con la “lievitazione del grembo” a far nascere in lei il Figlio, Gesù. Durante la veglia di Avvento con i giovani della Diocesi di Noto, il 2 Dicembre scorso, ho intuito la risposta. Maria aveva paura che Dio fosse come glielo avevano trasmesso e non invece come il suo cuore sperava: il Dio guerriero che per liberare Israele distrugge popoli e nazioni, la cui ira raggiunge le generazioni dopo le generazioni, implacabilmente, il Dio che terrorizza con il suo tremendo giudizio, il Dio della paura.

A questa paura grande covata, in un cuore innocente di fanciulla che invece intuisce altro su Dio,  corrisponde la buona novella: “non aver paura, Dio è solo amore, sempre amore”. È il Verbo si fece carne. Buon Avvento.

di Mons. Antonio Staglianò

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