Le istituzioni e la piazza

di Pino Malandrino

L’iniziativa del governo di mettere la fiducia sulla legge elettorale ha provocato vivaci proteste dentro e fuori dal Parlamento. Sotto la spinta dei capipopolo, le piazze sono tornate ad affollarsi per protestare contro presunti attentati alla democrazia. Prescindendo da un giudizio di merito – è assodato che nessuna riforma è perfetta – sulla legge elettorale già approvata dalla Camera, si è consumato il solito vezzo, oramai consolidato. Quando un provvedimento non è gradito a chi lo avversa, si parla subito di incostituzionalità e di attentato alla democrazia. In più, nello specifico, le forze che non hanno partecipato alla sua stesura, in particolare i 5Stelle e le forze dissidenti di sinistra, gridano allo scandalo, sostenendo che con questa legge, peraltro condivisa dalla maggior parte delle forze politiche- PD, FI, Lega e AP – il popolo viene privato della facoltà di scegliere i propri rappresentanti.  Sia sulla presunta incostituzionalità che sulla circostanza che la legge sia destinata a eleggere un Parlamento di “nominati”, si sono pronunciati autorevoli politologi e costituzionalisti, che ritengono gli allarmi privi di fondamento. In particolare per quanto riguarda le preferenze, oggi invocate e un tempo avversate, perché fonte di inquinamento, al di là della propaganda e dei paroloni, si tratta più di una illusione che dell’esercizio di un vero diritto. È risaputo, infatti, che gli elettori esprimono la loro preferenza su nominativi, comunque, scelti dai partiti all’atto della formazione delle liste. Un conto è, allora, avanzare legittime aspettative, un altro è gridare inconsapevolmente allo scandalo. Molto più scandaloso dovrebbe apparire il fatto di essere arrivati alla vigilia delle elezioni senza dire ai cittadini con quali modalità andare a votare. Nonostante si sia sempre sostenuto che una legge elettorale si possa fare in mezz’ora, i vari tentativi, compresi quelli compiuti dalle forze che oggi protestano, sono naufragati nel nulla. Ha fallito Renzi con la legge “Italicum” dichiarata incostituzionale. Hanno fallito ben quattro forze politiche – Partito democratico, Forza Italia, Lega e 5Stelle- con il cosiddetto “tedeschellum” naufragato nel nulla lo scorso mese di giugno a causa di un gruppo di franchi-tiratori. Un sistema, quello appoggiato anche dai grillini, che al pari del Rosatellum, appena approvato, non consentiva la scelta dei candidati. Una circostanza questa fatta passare sotto silenzio anche dai grillini, forse perché coinvolti direttamente nell’iniziativa. Dopo l’ennesima manifestazione di incapacità di tutta la classe politica, compresa quella parte che è solita salire in cattedra, un ulteriore insuccesso sarebbe stato insostenibile. Specialmente se si pensa che nella maggior parte dei paesi democratici le leggi elettorali sono uno strumento consolidato che nessuno si sogna di modificare, come avviene in Italia, ad ogni stagione. Anche perché ogni legge elettorale dovrebbe garantire esclusivamente la governabilità del Paese e non le fortune dei singoli partiti. Per difendere e rafforzare i recenti timidi segni di miglioramento della nostra economia, riconosciuti da tutti gli organismi internazionali, la prima priorità dovrebbe essere quella di assicurare al Paese un lungo periodo di stabilità governativa. I problemi che l’Italia si troverà ad affrontare negli anni a venire non possono essere lasciati all’improvvisazione, richiedono, piuttosto, impegno e capacità di governo consolidati. L’emergenza immigrazione, la disoccupazione giovanile, le riforme istituzionali, il debito pubblico, l’allineamento alle regole europee, la riduzione della spesa o spending review, la lotta all’evasione fiscale, il contrasto all’aumento delle diseguaglianze e altro ancora, richiedono prima di tutto che si superi l’attuale clima di divisione e conflittualità. Se la nuova legge, come si teme, non riuscirà a garantire la governabilità, sarà necessario ricorrere anche a coalizioni fra forze diverse. Di fronte agli interessi del Paese, da tutti richiamati, almeno a parole, nessuno può restare sul piedistallo, pretendendo di dettare agli altri le regole. Il bene dell’Italia richiede prima di tutto qualche atto di umiltà.

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