Intervista al Vescovo eletto Salvatore
“Mi sento già dentro la vita della Chiesa netina”
La nostra diocesi ha vissuto l’attesa del nuovo vescovo nella preghiera. Ora che ci sono un nome, un volto, delle parole (i suoi primi messaggi) ci piacerebbe che lei stesso ci dicesse qualcosa di sè e dei suoi sentimenti in questo momento …
Raccontare se stessi significa consegnare, con animo semplice, la propria esistenza e i propri sentimenti a chi sta per entrare nella tua vita, ed io come Pastore già mi sento dentro la vita della comunità cristiana netina. Questo lo devo soprattutto a voi, alle vostre preghiere, al vostro affetto e al bene che già mi avete mostrato in tanti modi. Sono grato al Signore che mi ha chiamato al Sacerdozio, a celebrare i sacramenti della salvezza e vivere la compagnia della carità. Credo e spero che il ministero vissuto in questi anni in parrocchia possa aiutarmi a declinare il servizio episcopale nello stile della comunione. Amo, per scelta di vita, sognare e condividere i sogni di tutti per rendere la Chiesa di Cristo segno di speranza. Provengo da una famiglia che fin da piccolo mi ha inculcato i valori della fede, dell’umiltà, della condivisione e del sacrificio. I miei sentimenti? Avverto un forte senso di inadeguatezza, che non è paura, poiché ho la consapevolezza che il Signore sarà sempre al mio fianco, in ogni momento e, sono profondamente convinto che l’ultima parola è sempre legata al bene e alla luce.
Nel suo messaggio ha parlato della maternità di una Chiesa nei confronti del suo pastore, ha donato parole molto significative per ogni componente della sua e nostra Chiesa nei diversi livelli di servizio. Può ancora dirci cosa ci chiede, cosa si aspetta da noi per poter insieme camminare sulle vie del Signore?
La prima cosa che chiedo a tutti è di stare con Lui, di fare esperienza di fede vera, semplice, umile, feriale. La gente ha bisogno di questo: poter contemplare comunità che sappiano trasfigurarsi dinanzi a Dio ed essere segno di misericordia, di pace, che esercitino la ginnastica della solidarietà e dell’unità, che riescano a superare steccati e abbattere le forme della divisione. Il vero profilo della Chiesa consiste anzitutto e soprattutto nella sua apertura a Dio e nel suo essere capace di Dio. Se essa è realmente testimonianza e luogo di salvezza, allora può esplicare una permanente forza di attrazione sugli uomini. Il nostro compito all’interno dell’evangelizzazione non consiste in altro che nel creare le condizioni adatte affinché le persone possano scoprire la verità della propria vita nel messaggio allietante di Gesù Cristo. La Chiesa nasce dal raccogliersi attorno alla persona di Gesù e cresce attraverso il discepolato. Se ci poniamo tutti alla Sua scuola di vita e facciamo, per quanto possibile, del nostro meglio per il Regno di Dio, allora la Chiesa dimostrerà nella fede una nuova forza e vitalità. La questione fondamentale è questa: insieme dobbiamo trovare nuove vie per testimoniare in modo convincente e gioioso al mondo il messaggio salvifico del regno di Dio.
”Camminare insieme” fa pensare al Sinodo. Noi abbiamo vissuto un’esperienza molto bella e significativa con il nostro sinodo diocesano nel 1992-1996 con un tema assegnato da mons. Nicolosi, dopo un’ampia consultazione dei partecipanti alle messe domenicali, che ancora oggi risuona attuale: “riscoprire Gesù lungo le nostre strade”. Ora siamo al secondo anno di un rinnovato cammino sinodale. Come viverlo? Cosa ci suggerisce e ci chiede?
Sinodo è Chiesa in cammino verso Dio, sinodo è Chiesa nella sua vera natura e nella sua identità: è vivere insieme il pellegrinaggio della fede, animati dalla speranza e dalla carità operosa. Il cammino sinodale è il viaggio di un popolo che sa ascoltare ciò che lo Spirito dice alla Chiesa e si incammina sulle vie indicate dalla Sua Presenza e incarnare, così, il Vangelo della misericordia, la Buona Notizia di Cristo, crocifisso e risorto. È tempo di grazia e di ascolto devoto e amorevole. Partendo da Cristo, il Sinodo si presenta come un cammino dinamico di evangelica e spirituale rinascita del popolo santo di Dio. Nella missione della Chiesa, infatti, è lo stesso Gesù Cristo che continua a donare il Vangelo e, perciò, essa rappresenta il kairòs, il tempo favorevole della salvezza nella storia travagliata degli uomini del nostro tempo. Cercheremo di vivere la stagione sinodale riconoscendo che la strada di Emmaus e il giumento del buon samaritano sono spazi teologali-relazionali indispensabili per una Chiesa che riflette sulla propria identità e missione, in un continuo atteggiamento di apertura e sempre alla ricerca di stili educativi per accompagnare credibilmente alla fede. Quindi, impegniamoci a costruire una Chiesa ancora in ascolto della voce profetica del Concilio Vaticano II. Il Sinodo ha il compito di aiutare la nostra Chiesa a declinarsi come comunità cristiane che sappiano annunciare il Vangelo in termini non solo comprensibili, ma credibili e affascinanti, in un radicamento evangelico capace di parlare profeticamente al mondo di oggi.
Siamo in tempi di grandi cambiamenti e di crisi (pandemia, guerra). Come attraversare il buio? Come dare il nostro apporto di Chiesa al territorio e alla storia di questi tempi?
Il coronavirus ha consegnato a tutti una lezione antropologica ed etica che passa inesorabilmente dalle trame della vita e della morte, dell’amore di sé e dell’amore dell’altro. La pandemia ha segnato, molto probabilmente, la fine della società liquida, fondata su interessi individuali e ha imposto il “noi “per affrontare il comune pericolo. Ma sulla legge del “noi” è ancora tutto da “riscrivere”. Quello della guerra è stato, e continua ad essere, per tutta l’umanità un tempo di grande paura e sofferenza, la vita è stata attraversata dalle pieghe più nascoste del dolore e da una comune condizione di fragilità e vulnerabilità. Sono cambiate molte abitudini, la ferialità è stata pienamente stravolta: il ritmo della nostra quotidianità è cambiato, i nostri spazi si sono “ristretti”. Questo periodo ci ha costretto ad imparare il vero significato di alcune parole: assenza, dolore, angoscia, comunione, incontro e abbraccio. Ai Vescovi brasiliani, in occasione della GMG del 2013, Papa Francesco raccomandava: «Serve una Chiesa che sappia dialogare con quei discepoli, i quali, scappando da Gerusalemme, vagano senza meta, da soli, con il proprio disincanto, con la delusione di un Cristianesimo ritenuto ormai terreno sterile, infecondo, incapace di generare senso. Serve una Chiesa in grado di far compagnia, di andare al di là del semplice ascolto; una Chiesa che accompagna il cammino mettendosi in cammino con la gente; una Chiesa capace di decifrare la notte contenuta nella fuga di tanti fratelli e sorelle da Gerusalemme; una Chiesa che si renda conto di come le ragioni per le quali c’è gente che si allontana contengono già in se stesse anche le ragioni per un possibile ritorno, ma è necessario saper leggere il tutto con coraggio. Gesù diede calore al cuore dei discepoli di Emmaus. Vorrei che ci domandassimo tutti, oggi: siamo ancora una Chiesa capace di riscaldare il cuore?». Questo è il cammino che ci sta dinanzi come Chiesa netina, non possiamo scegliere altre strade. Questo è il Vangelo che dobbiamo annunciare al mondo, segnato da ferite visibili e invisibili che lacerano il volto di ciascuno e di tutti.
Le stanno a cuore i giovani … questo è chiaro e ci commuove molto. Come può la nostra Chiesa sviluppare e vivere quest’attenzione?
Ripartire dai giovani, dai loro sogni, dalle loro speranze e dalle loro inquietudini. Ripartire dai loro spazi di vita quotidiana. Questa è la scommessa della Chiesa italiana di inizio millennio. Un cammino ed un impegno apostolico ricco di ascolto, dialogo e confronto con le realtà giovanili del nostro territorio. La sfida è grande ma non impossibile. Un lavoro che richiede fatica, ascolto, fiducia, tempo ed energie impiegate in uno “stile sinodale”, con la proposta di una pastorale dal volto comunionale e missionario. Credo che i passi fondamentali per una seria e organica pastorale giovanile debbano condurci alla condivisione della strada dei giovani, ad un annuncio credibile del Vangelo di Cristo, all’impegno di tutta la comunità cristiana e ad un autentico slancio missionario. È compito di tutti gli educatori, di tutti gli operatori di pastorale giovanile, di quanti hanno a cuore la sorte dei giovani, membra vive della Chiesa e di tutta la comunità cristiana mettersi in ascolto delle nuove generazioni e proporre vie praticabili di innamoramento della vita e di Gesù Cristo facendo sentire le nostre parrocchie «casa e scuola di comunione».