Se fallisce la mediazione è una sconfitta per tutti

Il modo con cui si è risolta la crisi di governo aperta da Matteo Renzi non lascia tranquillo nessuno: Presidente del consiglio e Presidente della Repubblica in testa. Se i numeri alla Camera non destano preoccupazioni, quelli espressi dal Senato -156 voti sui 161 rappresentanti la maggioranza assoluta- appaiono poco rassicuranti, benché sufficienti, sulla carta, a dare la fiducia al governo. Il particolare momento che sta attraversando il Paese sotto il triplice profilo sanitario, sociale e economico, richiede, infatti, governi “forti” sotto l’aspetto della coesione e dell’autorevolezza. Far dipendere l’efficacia e le sorti di un governo, in un momento tanto drammatico, dalla “buona volontà” di un gruppo di senatori, da reclutare, di volta in volta, in base al quorum richiesto per l’approvazione dei vari provvedimenti di legge, o costituirli in un gruppo improvvisato, costituisce un pericoloso atto di leggerezza, se non di irresponsabilità politica. Opportuna, quindi, l’azione, discreta, del Presidente Mattarella, volta a seguire, più da vicino, le mosse del Presidente del Consiglio per uscire da questa impasse. A prescindere dagli sviluppi della vicenda – Conte terzo o elezioni anticipate –  le motivazioni che hanno generato la crisi appaiono, ancora oggi, amare e incomprensibili. Come è possibile, ci si chiede da più parti, che le sorti di un governo e di un Paese possano dipendere dalla volontà – qualcuno dice dagli “umori” – di questo o di quel leader politico? Per settimane si è assistito, increduli, a un interminabile, quanto dannoso, battibecco fra Renzi e Conte, senza che nessuno dei due sia stato capace di riconoscere i propri torti e vedere le ragioni dell’altro. In un sistema democratico che si rispetti non è possibile che singoli capi si muovano e decidano senza il pieno coinvolgimento del partito, del gruppo o del movimento politico. Siamo passati da partiti in cui comandavano in tanti – almeno uno per ogni corrente- a movimenti o pseudo partiti in cui comanda uno solo. Non sono in pochi a pensare che oggi le sorti dell’Italia sembrano dipendere dagli umori di Grillo, Salvini, Renzi e, in qualche misura, da Berlusconi. A nessuno può sfuggire che in questa XVIII legislatura, iniziata il 23 marzo del 2018, ci siano state già due crisi di governo determinate dall’iniziativa di due capi partito; la prima da Salvini nel 2019, la seconda da Renzi, nel 2021, entrambe senza chiare e condivisibili motivazioni. Pur di conquistare il potere, i nostri leader decidono, senza troppi scrupoli, di dare vita a governi formati da forze fra loro incompatibili, salvo, poi, a farli cadere col pretesto del venir meno delle condizioni per proseguire. Ignari, tra l’altro, dei danni che si arrecano al Paese con queste traumatiche interruzioni dell’attività governativa: progetti che si sospendono, compromissione dei piani di finanziamento europei, problemi nella campagna di vaccinazione in corso e tanti altri. Non meno gravi i danni provocati dalla difficoltà di dialogo tra Governo centrale, Regioni e Comuni in questo periodo di pandemia. Tutti rivendicano competenze, salvo poi a tirarsi indietro di fronte alla impopolarità dei provvedimenti da prendere. Al punto che, a dirimere le controversie, sono chiamati, spesso, i tribunali con le loro sentenze. È con amarezza che si deve constatare come in politica non ci sia più spazio per il confronto, il dialogo, la mediazione e come i conflitti mirino esclusivamente all’annientamento dell’avversario. Ma quello che ancor più sorprende è il notare come tanti parlamentari, militanti nei gruppi e movimenti politici, assistino, come è avvenuto nell’ultima crisi, al deterioramento dei rapporti fra due contendenti, senza avere il coraggio di costringerli a incontrarsi e a parlarsi fino al raggiungimento di un accordo. Un tempo si diceva che la politica, oltre a essere “la forma più alta di carità” (Paolo VI), costituisce l’arte del confronto, del sano compromesso, della sintesi fra le varie posizioni. Se non si tornerà a percorre le strade del dialogo e della mediazione nei conflitti in ogni ambito del vivere civile – politica, economia, sindacato, famiglia – passeremo da una sconfitta all’altra. 

di Pino Malandrino

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