“La vittoria della nostra fede”: il cuore di un episcopato che ha rinnovato il volto della nostra Chiesa

Eucaristia presieduta da Mons. Staglianò nel VII anniversario della nascita al cielo di Mons. Nicolosi

“Festa del battesimo di Gesù, ma anche memoria di un grande padre della nostra Chiesa, del vescovo che ne ha rinnovato il volto alla luce del Concilio Vaticano II, in modo particolare con il Sinodo diocesano”: fin dall’inizio della celebrazione del 10 gennaio in cattedrale, il nostro Vescovo Mons. Staglianò ha legato la memoria di Mons. Nicolosi al respiro della nostra Chiesa e l’ha attualizzata, rendendola viva e attuale per il cammino di questo tempo complesso che stiamo attraversando. Gli sarebbe piaciuto, gli sarà piaciuto molto dal cielo, la sottolineatura iniziale sul battesimo, lui che voleva una Chiesa che ripartisse dal battesimo per vivere anzitutto la dimensione del popolo di Dio in cui tutti siamo membri partecipi della comune missione. Come pure gli sarà piaciuta molto la sottolineatura finale sul Dio che non castiga, che mons. Staglianò ha messo al centro della sua omelia e che si poteva cogliere benissimo nelle conversazioni con Mons. Nicolosi, insieme alla sua preoccupazione che Cristo non restasse un fantasma. E, soprattutto, ha colto bene il nostro vescovo quando ha sottolineato come al cuore della vita cristiana e dell’episcopato di Mons. Nicolosi c’è la fede. Non una fede generica, ma – come suggerisce il motto episcopale di Mons. Nicolosi “victoria nostra fides”, per felice coincidenza al centro della seconda lettura della festa del battesimo del Signore – “una fede che vince il mondo”. Che vince la mondanità – ha sottolineato con forza Mons. Staglianò, – quella mondanità che divide, che fa prevalere gli apparati sull’autenticità, l’io sul noi. Una vittoria che accade nella misura in cui ci spogliamo di un cattolicesimo convenzionale, nella misura in cui ci lasciamo interrogare in prima persona con la consapevolezza che non salvano i ruoli o le prerogative, non salvano riti e devozioni, ma salva l’intenzionalità profonda della fede. E ancora “una fede incarnata”, tanto che – ulteriore sottolineatura del nostro vescovo – se non c’è la carità occorre dubitare della sua autenticità. Ancora: una fede che diventa un gusto nuovo da donare al mondo, un amore traboccante. Una fede che diventa carità, che deve restare segreta sul piano personale, ma deve diventare capace sul piano comunitario di generare amore che circola, comunione (tema della prima lettera pastorale di Mons. Nicolosi e di tutto il suo episcopato, insieme alla missione come irradiazione del Vangelo). Comunione che diventa quel “noi” che genera testimonianza credibile (“vedano le vostre opere buone e glorificano il Padre”, laddove è determinante le ‘vostre’ …) Una fede, ancora, incarnata che ci fa stare (come era detto nel tema del sinodo) tra le strade degli uomini. Chiesa credente, Chiesa credibile, Chiesa in uscita! Nel contesto reso più sobrio dalle restrizioni per il covid, ma non per questo meno significativo, ricco sempre di commozione soprattutto nella sosta dopo l’eucaristia davanti alla tomba di Mons. Nicolosi, il cuore si è riscaldato e – come molti sui social hanno scritto – continuiamo ancora dal vescovo Nicolosi ad apprendere uno stile, di autenticità e di lungimiranza, di sensibilità evangelica ed ecclesiale, che tanto può dirci per il rinnovamento della Chiesa, vero e duraturo solo se radicato nelle “cose essenziali della fede”. 

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