CHRISTIAN BARONE, Per strade deserte. Meditazioni su Atti degli Apostoli

Edizione Il Pozzo di Giacobbe 2020

Sono state pubblicate in un agile volumetto le meditazioni, proposte dapprima singolarmente come Lectio nel corso degli incontri di formazione della Caritas tenuti da Don Christian Barone, presso le Benedettine di Modica, nello scorso anno pastorale.

Il testo è uno strumento nato per l’edificazione della comunità e non per l’estrinsecazione della cultura (che pure si intravvede in filigrana) dell’autore, e perciò ha fatto bene don Christian a non appesantire il testo con note e richiami esplicativi e bibliografici, lasciandolo nella forma di Lectio per cui è stato pensato, mantenendone la struttura, con, alla fine di ogni meditazione, le tracce per la revisione di vita e i testi per la preghiera. 

E dunque risulta utile per ricentrare la nostra prassi ecclesiale sul primo imperativo che il Cristo dà alla Chiesa nascente. Che è l’evangelizzazione.

Perché se c’è un senso della stessa esistenza della Chiesa, il fine della comunità cristiana e della sua stessa vita agapica ed eucaristica (brillantemente illustrata da don Christian nel capitolo sulla vita della comunità dopo la Pentecoste come esperienza dell’incontro comunionale con il Risorto) è che la dimensione costitutiva della Chiesa è data anzitutto dalla evangelizzazione.

E Gesù non ci ha detto solo di evangelizzare, ci ha indicato anche la modalità in cui evangelizzare: (Mt 28,19): <<Andanti, dunque, fate discepole tutte le genti>>.

Il participio, o se volete il gerundio in italiano, andanti / andando, indicano quasi uno stato in luogo: la strada qui non è uno spazio che tu attraversi per andare da un luogo all’altro. La strada è lo stesso luogo che tu sei chiamato ad abitare. È, potremmo definirlo oggi, un “luogo teologico”. Noi siamo stati buttati per strada, siamo, dobbiamo essere, gente di strada. Il ministero pubblico stesso di Cristo è un lungo andare. E la Chiesa non può non rimanere che andante! La chiesa che si rinchiude nelle sacrestie è una chiesa che prima o poi ammuffisce e perde il senso stesso della sua esistenza.

Il libro degli Atti richiama la Chiesa ad uscire dalla sua autoreferenzialità: ce lo fa notare don Christian non solo nel capitolo sulla Pentecoste in cui, dopo il dono dello Spirito, gli apostoli sono spinti fuori dal cenacolo, ma anche nell’episodio di Pietro e Cornelio in cui lo Spirito spinge la Chiesa nascente ad allargare il suo sguardo per abitare lo spazio della cattolicità, ma anche nelle vicende di Paolo in cui dalla chiamata in poi si può dire che tutto avviene per strada.

Bene ha fatto allora don Christian a ricordarcelo nel titolo stesso: Per strade deserte. 

Siamo mandati per le strade, non solo per quelle solite e frequentate e magari gratificanti, anche per quelle deserte. E il richiamo al deserto è significativo. 

Certo, nel caso dell’eunuco il deserto è anche geografico, come in altre occasioni, ma noi sappiamo quanta valenza abbia per noi il richiamo al deserto come luogo dell’anima, come luogo dell’incontro con Dio, e come spesso le strade, pur essendo affollate, rivelino in verità deserti esistenziali abitati da solitudini e da persone smarrite o emarginate o comunque in ricerca. 

È su queste strade che siamo mandati per andare incontro ad ogni uomo.

Ma don Christian fa anche bene a ricordare che la fedeltà a questo mandato sarà tale se conserverà il cuore e la possibilità stessa di ogni esperienza di fede che è la priorità di Dio e della sua grazia, che tradotto per noi significa il primato di Cristo e ciò lo può fare solo mantenendosi nell’ascolto obbediente alla sua Parola e nella docilità a lasciarsi trasportare dallo Spirito.

Parola e Spirito sono in realtà i veri protagonisti degli Atti degli Apostoli.

Si leggano i capitoli del libro di Don Christian, a mio parere tra i più ispirati, della Pentecoste e dell’incontro del diacono Filippo con l’eunuco etiope.

C’è una Parola che “urge” e desidera essa detta al di là di ogni ristretto confine e c’è uno Spirito che ti preleva con forza e ti porta sempre su strade nuove, magari dove non si vorrebbe umanamente andare!

E per mantenersi in questa obbedienza e docilità la Chiesa non può far altro che mettersi sempre in atteggiamento autocritico: quanto scrive don Christian a proposito del discernimento in occasione della scelta dei diaconi credo sia l’unico modo per far sì che la Parola continui a parlare e lo Spirito non trovi resistenze al suo soffio.

Un discernimento che deve suscitare cammini di conversione.

“Conversione” è un richiamo che don Christian fa, e non solo nel capitolo dedicato a San Paolo (e qui sarebbe stato ovvio) dove conversione ed elezione/vocazione si inverano a vicenda. Ma anche Pietro da solo, e poi insieme a tutti gli altri apostoli, e poi tutti la comunità ecclesiale, negli Atti è sempre chiamata a convertirsi, cioè letteralmente a cambiare strada per rimettersi nella carreggiata per la quale Dio la vuole condurre. 

Solo una comunità cristiana disposta a farsi mettere continuamente in crisi dal Vangelo e che vive al suo interno la fecondità non esclusiva né omologante dello Spirito (si veda anche qua quanto scrive don Christian a proposito del miracolo delle lingue a Pentecoste) in cui la stessa articolazione ecclesiale di carismi e ministeri è espressione della varietà dei doni dello Spirito in cui la comunione non è mortificazione ma valorizzazione e integrazione delle differenze, solo così la comunità cristiana si potrà presentare al mondo come la comunità del Crocifisso-Risorto che non annuncia altri <<se non Cristo e Cristo Crocifisso>> che vuole dare ad ogni uomo l’opportunità di vivere una vita nuova.

E lo annuncia con lo stesso stile di Cristo. Cioè anzitutto con lo stile del pellegrino. E quindi una chiesa non può pensare di stabilirsi nel mondo come “civitas” ma solo come “parà-oikia”: accampamento.

E che sta nel mondo, pur sapendo di non essere del mondo, non cercando di fuggirsene ma in un atteggiamento di compagnia, compassione, che si fa vicinanza e cura, nei riguardi dei destinatari dell’annuncio senza distinzioni, perché in Cristo “non c’è più né giudeo né greco”. 

E perciò sperimenta al suo interno quella comunione dialogante dove non ci si lancia scomuniche reciproche e dove l’alterità, qualunque sia, è abbracciata in Cristo e ricondotta a unità. 

Ce lo ricorda don Christian a proposito del Concilio di Gerusalemme: solo una Chiesa capace di dialogo al suo interno, sarà in grado di porsi in dialogo col mondo per essere nel mondo segno di speranza, riconciliazione e unità del genere umano come sogna Lumen Gentium I. 

Siamo grati a don Christian per il dono che ha fatto alla nostra chiesa locale, che ci spinge a recuperare il senso autentico della missione, che è quello che ci racconta gli Atti degli Apostoli e che urge, oggi più che mai, in un momento in cui nostalgie del passato e paure del futuro spingono singoli e comunità a egoistiche chiusure, nel pensare a trattenere per sé, come Anania e Saffira (bel capitolo questo, dove don Christian illustra bene questo meccanismo in cui il peccato ci vorrebbe far stare nella Chiesa senza comprometterci nella stessa dinamica ecclesiale), piuttosto che condividere con gli altri il dono della fede ricevuto. 

Ci auguriamo che il libro di don Cristian sia uno strumento utile per la chiesa di Noto, perché, come dice il nostro secondo sinodo diocesano, possa sempre incontrare e far incontrare Cristo lungo le strade del mondo e della vita. 

di Ignazio La China

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