Disinteresse, rassegnazione, sfiducia. Con quanti altri termini si può motivare il crescente fenomeno dell’astensionismo? All’indomani delle elezioni politiche dello scorso 25 settembre, quando si recò alle urne soltanto il 63% degli elettori, si pensava di avere toccato il fondo. Nient’affatto, alle elezioni regionali in Lombardia e nel Lazio di due domeniche fa, è andato a votare soltanto il 40% degli elettori. Nonostante i propositi di affrontare il problema manifestati, puntualmente, all’indomani di ogni competizione elettorale, non si riesce a porre rimedio a questa tendenza, che ha visto il suo avvio negli anni ottanta. Anche perché non si tratta di escogitare un qualsiasi intervento tecnico, ma di andare alla radice del problema. A partire dalle elezioni del 1979, infatti, l’affluenza alle consultazioni elettorali ha subito un progressivo e quasi continuo calo che l’ha portata dal 93,4% del 1976 al 63,8% del 2022. Se un italiano su tre, come svela un recente sondaggio, è persuaso che “votare non serve a nulla” e quasi uno su sette si dice “disgustato dalla politica”, siamo di fronte a un fenomeno che deve interpellare tutti, partiti di maggioranza, di opposizione, compresi i cittadini. Vero che la democrazia non si esaurisce con l’esercizio del diritto-dovere del voto, è altrettanto vero, però, che esso ne costituisce uno degli aspetti fondamentali. Per quanto riguarda le recenti elezioni regionali, in particolare, a scoraggiare gli elettori a recarsi ai seggi ha concorso, da una parte, il risultato scontato a favore del centro destra, dall’altra, la rinuncia a combattere da parte del centro sinistra. D’altra parte, da una opposizione divisa e inconsistente quale danno poteva venire a una maggioranza guidata da una leader più forte e sicura che mai? Insomma, non c’è stata partita e si è trattato di una vittoria amara per chi ha vinto e di una ulteriore mortificazione per chi ha perso. Se la sinistra, in particolare, paga il prezzo per avere perduto, nel tempo, il contatto con i cittadini; per la destra, il fenomeno costituisce l’avvertimento di fare la stessa fine se anziché porre ascolto alle reali istanze dei cittadini si attarderà su logiche spartitorie. “Non si tratta di sordità della popolazione, quanto di debolezza delle proposte politiche, di incapacità di attrarre l’elettorato verso l’impegno attivo (Sabino Cassese). Quello che più sconcerta, tuttavia, è che nessuna riflessione o autocritica è venuta né dai partiti di governo, né da quelli di opposizione. I primi intenti a celebrare il successo, gli altri a dimostrare che, comunque, sono ancora in piedi. La crescita del numero di persone che si astengono dal voto costituisce, in più, un elemento di preoccupazione rispetto al grado di legittimità del sistema rappresentativo. Se “il corpo elettorale” si assottiglia sempre più, in nome di chi governano i governanti? I risultati elettorali, infatti, mostrano come la coalizione che ha vinto le elezioni ha raccolto il consenso di poco più di un elettore su 4. Una ragione in più, questa, per suggerire alla Premier di governare con più umiltà, ricordando che, contrariamente a quanto puntualmente afferma, è azzardato dire che lei governa con il consenso di tutti gli italiani. Specialmente quando si punta a realizzare, in nome del popolo, quei radicali cambiamenti – spesso ideologici – in ogni ambito politico, economico e sociale. Compresa, ad esempio, la modifica della configurazione centrale e periferica dello Stato che, con l’introduzione dell’autonomia regionale, potrebbe acuire ancor più le differenze fra i cittadini del sud e quelli del nord. Il cardinale Pietro Parolin lo scorso 14 febbraio, in occasione del 94° anniversario dei Patti Lateranensi, ha indicato, sinteticamente ed efficacemente, le principali cause cui fare risalire l’astensionismo: “Non c’è interesse per il bene comune; é un’espressione di individualismo che caratterizza il nostro tempo; una disaffezione nei confronti della classe politica”. Ne tengano conto sia i partiti di maggioranza, sia quelli di opposizione nel momento in cui stanno tentando di riorganizzarsi.
di Pino Malandrino