Lo spirito di tranquillità del cristiano, nell’amore alla Chiesa nonostante le avversità

di +Antonio Staglianò

La terza Massima di perfezione cristiana del beato Rosmini suggerisce al cristiano di allontanare da sé ogni zelo eccessivo per i destini della chiesa. Anche quando «gli avvenimenti paressero contrari al bene della chiesa», egli deve «godere una perfetta tranquillità, e conservare un gaudio pieno». La Chiesa è corpo mistico di Cristo oltre che un’istituzione storica costituita di uomini e affidata alle loro cure. Con il Concilio Vaticano II sappiamo che la Chiesa è “come un sacramento”, cioè un segno efficace di ciò che indica, precisamente la comunione dei fratelli tra loro, resa possibile dalla presenza reale dello Spirito nel loro cuore e dal dono dell’Eucarestia, vero corpo e vero sangue di Cristo. Dio Padre, il Figlio Gesù e lo Spirito del risorto sono permanentemente all’opera nella vita della Chiesa, costituendone il “mistero grande”. Senza questo mistero la Chiesa non è sé stessa. Gli scandali – che sono sempre una contro testimonianza della vitalità mistica della Chiesa- allo specchio di questo mistero risultano tanto più profondi e distruttivi, persino diabolici: com’è possibile che con tanta grazia di Dio, gli uomini di Chiesa e i fedeli cristiani siano capaci di nefandezze e cose turpi? La guida dello Spirito può essere, dunque, inefficace e patire continue sconfitte, a causa degli uomini e delle donne, indegne della luce infinita della sua potenza d’amore?

Per alcuni teologi l’abbassamento dello Spirito (=kenosi) è molto più profondo della kenosi del Figlio, nell’Incarnazione e nella morte di croce. E si capisce! Il Figlio assunse, infatti, l’uomo che gli corrispose totalmente, tanto da essere “una sola persona” e la morte in croce fu vissuta da Gesù nell’obbedienza alla volontà del Padre, nella libertà del suo amore. La presenza reale dello Spirito santo, invece, è di continuo contrastata dalla fragilità della carne degli umani: il loro orgoglio è acqua che spegne il fuoco dello Spirito destinato a incendiare il mondo con il suo amore. La colomba dello Spirito fa fatica a librarsi sulle sue ali e rigenerare il mondo, perché resta spesso mortificata nelle prigioni costringenti di “libertà individuali” non aperte alla sua danza originaria: lo Spirito del Risorto è lo stesso Spirito creatore, “danzante sulle acque”. Alla melodia trasportata dalle prime onde sonore, il movimento danzante dello Spirito produsse le forze dell’universo in espansione, tutto intrecciando (entenglement) con filamenti d’amore e con lo sguardo puntato all’emergenza dell’uomo nel pianeta terra. È l’amore che muove il sole e le altre stelle (Dante Alighieri).

Non si tratta perciò dell’uomo in generale, ma dell’uomo eucaristico: dell’uomo aperto al dono di sé, all’amore. È l’uomo persona, cioè relazione amativa, come Rosmini amava definire la persona. Non è un caso che il concetto di persona si stabilì, nel suo significato proprio, all’interno delle dispute trinitarie su Dio. Cercando di capire com’è fatto Dio Agape – l’unico Dio in tre persone uguali e distinte- si approfondì il mistero dell’uomo, come essere personale. È necessario allora comprendere, alla luce del Vangelo, chi è Dio amore, perché questo amore di Dio qualifica la persona nella sua relazione con gli altri. Da qui la Chiesa e la sua missione, collegata anche all’evoluzione del mondo che si orienta – secondo Th. De Chardin– al punto Omega, cioè Cristo e dunque alla nascita della sua umanità nuova, l’umanità vera, piena, traboccante nel dono, nell’amore. La Chiesa è luogo e tempo, nella vicenda degli uomini, di questa umanità di Cristo che risorge sempre, perché è risorta “una volta per tutte”, di cui lo Spirito santo è il generatore (=esperto nel generarla nella vita degli uomini). Pertanto la Chiesa prima di essere guardata come “organizzazione comunionale” va contemplata come nuova umanità realizzata in questa comunione, radicata nella comunione eterna del Padre del Figlio che dona lo Spirito.

Allo specchio di questo mistero, si può meglio gustare la sottolineatura del Rosmini all’inizio di questa terza Massima: «essendo Gesù Cristo quegli che ha la potestà su tutte le cose tanto in cielo come in terra, e che si è meritato di diventar Signore assoluto di tutti gli uomini, Egli solo è altresì quegli che regola, con sapienza, potenza, e bontà inenarrabile, gli avvenimenti tutti secondo il suo divino beneplacito, a maggior bene de’ suoi eletti che formano la sua diletta sposa, la Chiesa». Fidarsi di Dio, confidare in Dio, affidarsi a Dio implica la mancanza totale di inquietudine o di ansia alcuna rispetto ai tanti mali che affliggono la Chiesa cattolica. È lo spirito di tranquillità: non è tanto uno starsene con le mani in mano senza intervenire, ma attivarsi a “porre rimedio ai mali presenti”, con i modi dovuti, davanti alla “manifesta volontà del Signore” con spirito di intelligenza cristiana. La critica alla Chiesa – per i tanti scandali attuali – deve essere radicale e senza sconti. Restando però umani come Gesù ci vuole, cioè disponibili al perdono, sensibili allo Spirito che vuole curare, sanare, redimere. Bisognerà fare attenzione che – dovendo “lapidare qualcuno” – non si usino le pietre appuntite della propria smania di vendetta, del rancore radicato nelle proprie ferite, ma soltanto le pietre del Vangelo, ricche di giustizia e di misericordia, di desiderio di santità e di riscatto per tutti. Elaborare la sconfitta sarà anche un esercizio di umanizzazione, perché dal fallimento può derivarne un nuovo esercizio libero della propria dignità.

C’è allora un modo cristianamente inequivoco per lottare- con spirito di tranquillità– contro i mali che affliggono al Chiesa, «operando a pro di essa dietro la divina chiamata», come vuole Rosmini nella terza Massima: lavorare indefessamente nelle opere di carità.

Solo l’amore della carità è credibile (H. Urs von Balthasar) e ringiovanisce il volto materno e bello della Chiesa. E con un’avvertenza spirituale: il lasciarsi guidare da Dio, evitando sforzi che mettono al centro noi stessi. Un po’ come accade nelle tante “opere di carità della Chiesa di Noto”, nelle quali, in genere, non ci sono progetti ma risposte alle chiamate di Dio e la preoccupazione di far restare tutto in logiche di prudenza, senza ‘grandiosità’. Segni che orientano e non presunzione di cambiare il mondo, amava ricordare don Pino Puglisi: «le nostre iniziative e quelle dei volontari devono essere un segno. Cambiare subito, cambiare tutto è un’illusione che non possiamo permetterci. Quello che facciamo con le nostre iniziative di volontariato è soltanto un segno per fornire altri modelli, soprattutto ai giovani.  Lo facciamo per poter dire: dato che non c’è niente, noi vogliamo rimboccarci le maniche e costruire qualche cosa. E se ognuno fa qualche cosa, allora si può fare molto».

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