Rinvenuta una tela del netino Carasi

Verso la metà del Seicento arrivano a Noto, sul monte Alveria, gli Ospedalieri di San Giovanni di Dio a cui i Giurati affidano la cura dell’ospedale e la chiesetta dedicata a S. Maria di Loreto. Per il modo di questuare: Fate ben fratelli, per medicar gl’infermi poverelli, sono detti Fatebenefratelli. 

Con il trasferimento della città nel nuovo sito realizzano l’ospedale al Piano Alto, nei pressi del SS. Crocifisso. Lasceranno Noto nel 1860, sostituiti dalle suore vincenziane. Il nuovo ospedale, grazie anche ai legati dei benefattori, disporrà di una considerevole rendita a beneficio dei malati. A Donnalucata, ameno borgo sul mare di Scicli, nella chiesetta edificata nel 1878 ed eretta a parrocchia nel 1918, si ammira una tela della Madonna di Loreto riconducibile ai Fatebenefratelli. Il dipinto è da attribuire a Costantino Carasi (Noto, 1717?-1799). Padre Francesco Ammatuna (+2009) che vi trascorrerà molti anni per abbellirla ottiene dalla Curia alcune tele da restaurare, compresa quella del Carasi, del quale allora si ignoravano la lunga evoluzione artistica e gran parte delle opere. Il restauratore al quale l’opera viene affidata ha la geniale idea di immortalare l’anno del suo intervento “Anno Domini 1980”, dimostratasi inutile e fuorviante perché l’opera era stata realizzata due secoli prima, intorno al 1780.

Il dipinto, per evidenziare la presenza di Dio Padre, come spesso accade nelle opere carasiane,  mostra una Nuvola scura che sovrasta armoniosi cori celesti guidati dall’Arcangelo Michele, inneggianti alla Vergine che addita la Santa Casa, fulcro del dipinto; in basso, Loreto circondata da possenti mura perché prossima al mare, i cui abitanti innalzeranno uno splendido tempio per custodirvi la dimora che a Nazareth ospitava la Sacra Famiglia. Rivestiti dei colori delle Virtù teologali – bianco, verde e rosso – gli Angeli suggeriscono che le fondamenta poggiano su ciò che i Fatebenefratelli amorevolmente mettono al servizio dei malati. Costantino Carasi qui denota una perizia e un’attenta conoscenza di una tavolozza assai varia dove l’uso del rosso vermiglio imprime vigore alla narrazione. La Vergine, dai dolci lineamenti, con al fianco Gesù Bambino ritto in piedi, assisa su un trono di bianche nubi rigonfie dallo Spirito, è soffusa da una piacevole ariosità che si risolve nel morbido panneggio delle vesti. L’indubbia maturità dell’artista è evidente nella cura dei volti mentre la gamma dei colori mostra palese vicinanza a La Vergine offre il Santo Rosario a San Domenico eseguita qualche anno avanti a Noto, per le cistercensi di Montevergine. L’opera manifesta un’approfondita cultura romana frammischiata a quella napoletana che l’artista accortamente riesce ad amalgamare con abili virtuosismi. La paternità dell’opera si evince dal pieno riscontro della sua impronta pittorica e dal raffronto delle fisionomie dei personaggi. Secondo la tradizione le pareti della Santa Casa, trasportate dagli Angeli, arrivarono a Loreto il 10 dicembre 1294 ma gli storici oggi asseriscono che raggiunsero Loreto in nave per iniziativa della nobile famiglia Angeli. Giovanni Paolo lI definì la Santa Casa “il vero cuore mariano della cristianità” perché “occasione e invito per meditare gli alti messaggi teologici e spirituali legati al mistero dell’Incarnazione e all’annuncio della Salvezza”. Il prospetto dell’ex chiesa dei Fatebenefratelli, abbellito da lesene doriche ed ioniche, presenta ancora l’assetto tardobarocco anche se in cima i due vasi “pompeiani” ed il minuscolo campanile sostenuto da due “calaxioni” di rinforzo furono abbattuti.

di Nino Terranova

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