Custodire le relazioni. Un modo per vincere il narcisismo

Abbiamo bisogno tutti di conversione. Tutti dobbiamo convertirci a Gesù, la verità in persona che ci rende liberi per amare. Per fare questo, è necessario “custodire le relazioni umane”, vincendo il solipsismo narcisistico che domina la scena di questo mondo e permea con troppa naturalità le nostre vite. Scrivere lettere o messaggi è un modo (uno tra i tanti) per comunicare, per creare ponti e abbattere muri, per varcare i confini e sentirci quello che siamo, un’unica comunione, una sola fraternità, una comune umanità. Anche le canzonette ne parlano: «Nessun grado di separazione / Nessun tipo di esitazione / Non c’è più nessuna divisione tra di noi / Siamo una sola direzione in questo universo / Che si muove/ Nessun grado di separazione / Nessuna divisione» (Francesca Michielin). 

Gesù ha pregato il Padre per questo, perché possiamo essere tutti una sola cosa: ut unum sint. Anzi, per questo, è morto sulla croce ed è risorto donandoci lo Spirito dell’amore, perché nella sua potenza potessimo amarci come Lui ha amato noi.

Ho in animo di pubblicare @Epistole, un libricino che raccoglie 150 pensieri (che poi erano piccole lettere, spedite ai sacerdoti via Email e anche ad amici) per ricordare il tentativo di “restare in contatto quotidiano” per “custodire le relazioni umane coltivando lo stesso interesse e la stessa passione per la Chiesa e la sua missione”.

Ho scritto cinque corpose Lettere ai presbiteri, perché le meditassero e potessero mediarle pastoralmente al popolo di Dio. Ovviamente, si tratta di un genere letterario per testi rivolti a tutto il popolo santo di Dio, perché i presbiteri sono pastori di parrocchie e hanno la responsabilità di guidare il gregge sui pascoli ubertosi del Signore ed essere come Gesù, il bel pastore che offre la vita per i suoi. Nessun indugio al clericalismo, assolutamente. Così, anche questo testo @Epistole verrà pubblicato nella speranza che tutti possano leggerle e possibilmente nutrirsi dei suoi contenuti di sapienza (se ce ne fossero).

Al n. 135 rispondo a chi mi chiedeva se questi brevi pensieri fossero “piccole omelie”: «non sono omelie…nemmeno brevi…potrebbero essere solo “Pensieri” alla Blaise Pascal (ovviamente molto più modesti) o anche una specie di “Zibaldone” alla Leopardi (con meno pessimismo) o ancora un “Diario di bordo” alla Herder (senza nessuna pretesa di reinventare il metodo filosofico). Forse è solo la ricerca di immagini da abitare per poter sognare a “occhi aperti”. 

Da qualche parte ho letto: “solo se si è presi dal sogno, si può abitare una immagine”. Abitare un’immagine è come esplorare un mondo nuovo attraverso l’immaginazione. Per questa via non è necessario nessuno spostamento geografico. Decisivo è la concentrazione e il cambiamento dello sguardo. È allora un immergersi nel profondo dell’anima per scandagliare paesaggi sconosciuti della nostra interiorità: là dove la nostra bellezza esiste in una sua purezza divina». In questi pensieri avanza la ricerca di modalità nuove e di possibili strumenti per rendere più missionaria la nostra vita cristiana. Perciò è stato possibile inviare ad altri questi messaggi scritti per i presbiteri. Volentieri ho condiviso la loro pubblicazione in questo libretto, perché tutti, nel popolo santo di Dio, possano attingere cioè che serve a vivere un cristianesimo autentico e incarnato ed essere aiutati a vincere il cattolicesimo convenzionale che mortifica le nostre energie spirituali dentro una esteriorità religiosa insoddisfacente, perché “non più cristiana”.

Il 10 novembre 2015, papa Francesco tenne quel famoso discorso ai rappresentanti di tutte le Diocesi italiane riuniti per il Convegno di Firenze, Il nuovo umanesimo in Gesù Cristo. Stralcio tre passaggi di quel discorso memorabile, poiché da qui sorse l’idea di iniziare a scrivere quotidianamente ai presbiteri, quale forma di dialogo continuo, espressione di una comunione cercata e possibile per il sacramento che ci cementa e rende un unico presbiterio, nello Spirito di Gesù:

«Ai vescovi chiedo di essere pastori: sia questa la vostra gioia. Sarà la gente, il vostro gregge, a sostenervi. Di recente ho letto di un vescovo che raccontava che era in metrò all’ora di punta e c’era talmente tanta gente che non sapeva più dove mettere la mano per reggersi. Spinto a destra e a sinistra, si appoggiava alle persone per non cadere. E così ha pensato che, oltre la preghiera, quello che fa stare in piedi un vescovo, è la sua gente». E ancora: «Vi raccomando anche, in maniera speciale, la capacità di dialogo e di incontro. Dialogare non è negoziare. Negoziare è cercare di ricavare la propria “fetta” della torta comune. Non è questo che intendo. Ma è cercare il bene comune per tutti. Discutere insieme, pensare alle soluzioni migliori per tutti. Molte volte l’incontro si trova coinvolto nel conflitto. Nel dialogo si dà il conflitto: è logico e prevedibile che sia così. E non dobbiamo temerlo né ignorarlo ma accettarlo. «Accettare di sopportare il conflitto, risolverlo e trasformarlo in un anello di collegamento di un nuovo processo» (Evangelii gaudium, 227)». E infine: «Ricordatevi inoltre che il modo migliore per dialogare non è quello di parlare e discutere, ma quello di fare qualcosa insieme, di costruire insieme, di fare progetti: non da soli, tra cattolici, ma insieme a tutti coloro che hanno buona volontà».

Avanziamo allora nei nostri progetti di carità per il bene della gente e sconfiggeremo ogni forma di narcisismo, individuale e anche … comunitario.

di don Tonino, vescovo

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