Da un tentativo all’altro

A due mesi dalle elezioni del 4 marzo il Paese è ancora senza governo. Il Presidente Mattarella le ha tentate tutte, o quasi. Gli rimangono ancora due o tre chance e poi, se constaterà l’impossibilità di dare vita ad un governo, assumerà, quasi sicuramente, una iniziativa straordinaria prima di arrivare allo scioglimento delle Camere ( governo del Presidente, ad esempio). Un’ipotesi, quella delle elezioni anticipate, considerata veramente estrema, alla quale Mattarella, per primo, non vuole credere, anche perché tutto fa pensare che la situazione attuale potrebbe ripresentarsi anche dopo le nuove elezioni. Ecco il perché della sua insistenza nello sperimentare tutte le vie, anche quelle che lui stesso considera difficili in partenza, compresa l’ultima, ancora in corso di svolgimento, dell’ incarico esplorativo affidato lunedì scorso, 23 aprile, al Presidente della Camera, Roberto Fico, dei Cinque stelle. Seguendo una consolidata prassi costituzionale, Mattarella ha iniziato l’iter per la formazione del governo il 4 aprile scorso, ad un mese esatto dalle elezioni. Dopo due giri di consultazioni con tutte le forze rappresentate in Parlamento, constatato che non erano emerse “intese tra più parti politiche per poter far nascere e sostenere un governo” , Mattarella decise di intraprendere una strada ancora più mirata, l’incarico alle due più alte cariche istituzionali, di “esplorare” il campo. Ha iniziato con la Presidente del Senato, Elisabetta Casellati di Forza Italia, incaricandola di verificare la possibilità di formare un governo fra il centro destra e i cinque stelle. Registrato il fallimento anche di questa iniziativa, Mattarella è ricorso alla seconda carica, quella del Presidente della Camera che dovrà verificare se ci sono le condizioni per un governo fra i Cinque stelle e il partito democratico. Perché, ci si chiede, Fico dovrebbe riuscire lì dove ha fallito la Presidente del Senato Casellati? Forse perché si è cambiato il fronte delle trattative: dalla destra, cioè, si è passati alla sinistra? Può il solo cambiamento del fronte mutare una situazione compromessa in partenza? E, infatti, ad un primo giro di consultazioni con gli esponenti del Partito democratico sono emerse tante di quelle difficoltà da fare ritenere poco praticabile anche quest’altro tentativo. Ai Cinque stelle non è bastato dire di avere chiuso il “forno” con la Lega e dichiarare aperto quello con il Pd per rendere credibile l’operazione. Sono in molti a scommettere che, al di là delle dichiarazioni ufficiali, i rapporti fra Di Maio e Salvini siano ancora solidi. In più, le distanze fra i grillini e i democratici sembrano ancora incolmabili, sia sul piano dei programmi che su quello delle opposte “tifoserie”, contrarie all’accordo.  Al di là delle dichiarazioni ufficiali, si ha la sensazione che difficilmente si possa mettere una pietra sopra alle tante invettive che le due forze si sono scambiate nel corso di una lunga e infinita campagna elettorale. Più che di nuovi scenari politici, ci sembra, allora, di trovarci dinanzi a tanti “colpi di teatro” nel contesto di una campagna elettorale permanente. Non solo il nostro Paese deve patire gli effetti di una congiuntura sfavorevole, deve subire anche i danni di una classe politica incapace, immatura e inadeguata alle difficoltà del momento storico che stiamo attraversando sia sul piano interno che su quello internazionale. Fra leader politici che minacciano di restare sull’Aventino – non si fanno vedere e non parlano con nessuno -; fra capi politici volubili che cambiano continuamente parere sulle questioni primarie e che si voltano un giorno a destra e il giorno dopo a sinistra; fra capi popolo che minacciano di fare la marcia su Roma se non otterranno l’incarico di fare il governo; in un contesto così degradato la priorità non è tanto quella di modificare la legge elettorale, quanto quella di cambiare interamente la classe politica. Tutta, quella vecchia e quella nuova.  “La Chiesa auspica – ha detto il cardinale Bassetti, presidente della CEI-  che si arrivi ad una soluzione, perché è chiaro che un vuoto di potere alla fine è soprattutto dannoso per la fascia più povera e che si arrivi ad una soluzione tenendo conto del bene comune che è il bene di tutti”. Auspichiamo che, prima o poi, qualcuno accolga questo appello

di Pino Malandrino

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