Nel capitolo riguardante “I linguaggi della pastorale” del documento preparatorio al Sinodo dei giovani, programmato per l’Ottobre 2018, è detto testualmente: “Talvolta ci accorgiamo che tra il linguaggio ecclesiale e quello dei giovani si apre uno spazio difficile da colmare, anche se ci sono tante esperienze di incontro fecondo tra le sensibilità dei giovani e le proposte della Chiesa in ambito biblico, liturgico, artistico, catechetico e mediatico. Sogniamo una Chiesa che sappia lasciare spazi al mondo giovanile e ai suoi linguaggi, apprezzandone e valorizzandone la creatività e i talenti. Riconosciamo in particolare nello sport una risorsa educativa dalle grandi opportunità e nella musica e nelle altre espressioni artistiche un linguaggio espressivo privilegiato che accompagna il cammino di crescita dei giovani”.
Si, anche nella “musica leggera”. E’, infatti, un miracolo che certi temi esistenziali – decisivi per la crescita dei giovani e la loro maturità umana-, si ritrovino sulla loro bocca, con parole pronunciate nell’occasione del piacevole motivetto cantato, ma sedimentate nel loro cuore (vorrei dire nella loro anima, se questo termine è ancora utilizzabile).
Quando l’editore Rubbettino mi chiese di scrivere il libro “Credo negli esseri umani. La buona novella pop” (edito nella primavera 2016 e scritto nel 2015), ragionai su questo e immaginai che quel libro potesse rappresentare già un esempio di “Pop-Theology”, indirizzata ai giovani, ai ragazzi. Lì, invece di usare le poesie di Leopardi o i romanzi di Manzoni (benché comunque molti riferimenti letterari si trovano, eccome), sono utilizzati quei testi che fanno parte della vita e della “cultura” dei giovani.
D’altronde nei cantautori amati dai giovani si trovano brani direttamente dedicati al tema della fede, della religione, di Dio, del divino. Su Ligabue, per esempio, Lorenzo Galliani, collaboratore di Avvenire, ha scritto e discusso nel giugno 2017 la tesi in Scienze religiose: “Hai un momento, Dio? Il rock di Luciano Ligabue in dialogo con il Cielo”.
Dentro un testo posso scoprire un contenuto di cristianesimo esemplare. Il linguaggio poetico ed evocativo non distrae, piuttosto incita alla riflessione critica sulla questione ambientale, sulla guerra e sulla violenza, sulla miscredenza. In un’ultima canzone di Renato Zero è chiaro il messaggio: ritornare a mostrare il volto umano degli uomini, quello cioè che “somiglia a Gesù”, la vera umanità che ci salva dal disastro degli egoismi e degli individualismi che ci contrappongono e ci fanno litigare, rendendoci lupi voraci.
Ogni racconto che ci parli della vera umanità è via indiretta di parlare di Gesù. “Il lavoro del poeta è conoscere l’anima” (W. Whitman), l’analisi del lavoro degli scrittori (anche i cantanti) è lo sforzo per capire “in che modo stiamo al mondo e come vorremmo starci” (B. Springsteen). Mi pare un accesso decisivo per la predicazione cristiana, che oggi, per i giovani, non si può accontentare dell’annuncio del kerigma e della catechesi, ma deve necessariamente “portare a riflettere criticamente” (=popTheology), operando secondo nuovi registri comunicativi, uscendo dagli schemi consolidati. Ci sia “Chiesa in uscita”, anche in questo. Dopo l’Evangelii gaudium di Papa Francesco si deve lavorare creativamente, su questo campo.
C’è chi sta all’ombra del Papa e si limita a citare quello che dice, ma non si sforza di metterlo in pratica. E c’è chi invece “vuole stare convintamente dalla sua parte” e s’inventa qualcosa per dare carne al suo magistero missionario tra i giovani. Con la “popTheology” – a Novembre esce il nuovo libro sempre con l’Editore Rubbettino dal titolo PopTheology per giovani. Autocritica del cattolicesimo convenzionale- cerco di spiegare quello che sto facendo con i giovani della mia Diocesi di Noto e i giovani dei vescovi che m’invitano.
Anche se capita di cantare e suonare qualche canzone, è evidente a tutti che non sono un cantante, ma un predicatore del Vangelo. Tanti sono gli apprezzamenti, ma le critiche non mancano e d’altronde resta vero quello che F. Nietzsche disse: “Coloro che furono visti danzare, vennero giudicati pazzi da quelli che non potevano sentire la musica”.
di + Antonio, Vescovo