Le elezioni alle porte

di Pino Malandrino

Dopo cinque lunghi anni nel corso dei quali da ogni parte si sono invocate le elezioni -“diamo la parola al popolo”, è stata la frase più pronunciata- è arrivato finalmente il momento di andare a votare. Aprirà la stagione la nostra Sicilia dove gli elettori si recheranno alle urne il prossimo 5 novembre per eleggere il Presidente della Regione e i settanta – la scorsa legislatura erano novanta – componenti dell’Assemblea regionale. A distanza di qualche mese, nella primavera del 2018, seguiranno le elezioni politiche per il rinnovo del Parlamento (Camera e Senato). Una campagna elettorale tanto lunga quanto inutile, se non addirittura dannosa. Da qui in avanti tutto rischia di rimanere congelato, complice non solo il clima esasperatamente litigioso fra le forze politiche, ma la paura di prendere posizione sulle varie questioni, specialmente su quelle ritenute più impopolari (ius soli su tutte). Si rischia, addirittura, di andare a votare senza una legge elettorale liberamente scelta dal Parlamento! Con il risultato che stando così le cose, difficilmente nella prossima legislatura vi sarà una formazione che, da sola, avrà la forza per costituire un governo autonomo e stabile. Intanto, per ora, l’attenzione è centrata tutta sulla Sicilia. Un’attenzione eccessivamente interessata, che contribuisce ad aggravare il clima di immobilismo generale. Nel timore di sbagliare, come si diceva, tutti preferiscono rimanere fermi nelle proprie posizioni. La fase preparatoria delle elezioni regionali ha coinvolto solo marginalmente la classe dirigente siciliana. Tutto, liste e candidati, è stato deciso al centro. Evidentemente l’autonomia di cui può fregiarsi la nostra regione, disciplinata dall’articolo 116 della Costituzione italiana, ha un valore più simbolico che reale. A parole, si riconosce che la nostra Isola, grazie allo Statuto autonomo e alle impareggiabili risorse che le vengono dal turismo e dall’agricoltura, potrebbe vivere dignitosamente, nei fatti, ancora una volta, le nostre sorti si fanno dipendere dalla “magnanimità” dei partiti nazionali. Per settimane la “vicenda” siciliana ha occupato le prime pagine dei giornali ed è stata utilizzata come terreno di sperimentazione di formule che, se vincenti, saranno riproposte in campo nazionale. I Cinque stelle, sempre che riusciranno a superare l’ennesimo incidente sulla presentazione delle candidature, convinti di avere la vittoria in pugno, hanno riproposto la formula del “soli contro tutti”. I partiti della destra, Forza Italia, Lega, Fratelli d’Italia e altre formazioni minori, dopo le fratture del passato, hanno provato, chiamando a raccolta nuove e vecchie glorie, a ricostituire l’unità perduta. Nel centro sinistra, tutto secondo copione. Il Pd, alle prese con il problema delle scissioni interne, ha rimediato riproponendola formula utilizzata -coalizione PD e liste civiche- per la elezione di Leoluca Orlando a Sindaco di Palermo. Sistemata la pratica “Sicilia”, il buon senso avrebbe dovuto suggerire di dedicarsi ora pienamente all’ultimo tratto della legislazione per tentare di portare in porto quanti più provvedimenti possibili. E invece, in un clima litigioso mai sopito, non solo non si prendono decisioni, si tenta, addirittura, di demolire quel poco di buono che è stato fatto. Verosimilmente la sola istituzione che continua a lavorare è il Governo che con un’azione costante, lontana da ogni clamore, sta continuando, sulla scia dell’azione intrapresa dal governo precedente, a compiere con diligenza tutti quegli atti necessari a garantire la funzionalità del Paese. Raccogliendo, altresì, incoraggianti risultati sul fronte della crisi economica. I vari indici – prodotto interno lordo, disoccupazione, investimenti e altri – registrano costanti e incoraggianti miglioramenti, tali da fare sperare in un superamento graduale della crisi. Al punto che attorno al Presidente Gentiloni si sta formando una sorta di partito d’opinione, che alle grida scomposte delle opposizioni mostra di preferire lo stile pacato, umile ma concreto, di un Presidente che vede crescere, giorno dopo giorno, il suo indice di gradimento.

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